19 Luglio. Anche Manfredi Borsellino dice che in Sicilia c’è un’antimafia di facciata. Manfredi, oggi commissario di polizia a Cefalù, aggiunge: “Condivido le parole di mia sorella, non ho tempo per commemorazioni senza senso”. Lucia aveva detto: “Il 19 luglio non andrò in piazza, l’antimafia non è un affare di facciata”. La testimonianza dei figli di Borsellino è stata raccolta in un articolo uscito oggi sul quotidiano La Stampa. Ecco cosa scrive Laura Anello:
«Il 19 luglio? Non ci sarò. Mi sono messo di turno al lavoro, a cercare di fare qualcosa di concreto, non ho tempo per commemorazioni senza senso. Per me, appassionato di calcio, i memorial sono quelli sui campi, non ne esistono altri». L’ironia supera l’amarezza negli occhi di Manfredi Borsellino, figlio del giudice ucciso ventitré anni fa in via D’Amelio e oggi commissario di polizia a Cefalù. Se la sorella Lucia si è appena dimessa da assessore regionale alla Sanità attaccando l’«antimafia di facciata» e invitando tutti a non invitarla per l’anniversario, adesso è lui a smarcarsi dalla commemorazione.
Quest’anno, insomma, dei tre figli non ci sarà nessuno. Segno dell’implosione dell’antimafia, dopo le inchieste e gli arresti sui suoi presunti paladini. Segno, paradossalmente, dell’avverarsi della profezia di Leonardo Sciascia che contro i «professionisti dell’antimafia» tuonò profeticamente nel 1987 sbagliando però bersaglio: Borsellino, appunto, con cui poi chiarì e fece pace in un incontro memorabile.
«Noi figli non ci saremo. Fiammetta da sei anni – racconta Manfredi – passa questo periodo a Pantelleria. Il 19 luglio fa celebrare una messa in memoria di papà in una chiesetta di contrada Khamma, sull’isola, dove entrano a malapena dieci persone. Lucia quest’anno sarà lì con lei. E io sarò in servizio, il 17, il 18 e il 19. Sono stato educato da mio padre all’etica del lavoro, alla concretezza, al rifiuto delle passerelle. Tre anni fa, pochi giorni prima dell’anniversario, abbiamo fatto un blitz contro la criminalità delle Madonie, il migliore modo di commemorarlo».
Non commenta gli ultimi casi che su quell’antimafia di facciata hanno alzato il velo – l’arresto per tangenti del presidente della Camera di Commercio di Palermo, Roberto Helg; l’inchiesta sul leader della Confindustria regionale Antonello Montante, entrambi campioni di parole sulla legalità – una cosa però la dice: «Mia sorella ha parlato di antimafia di facciata, e io quelle parole me le sono appese in ufficio, tanto le condivido, tanto mi sembrano arrivare dritte dalla voce di mio padre. Lei è la più figlia di Paolo Borsellino, è quella che ha nel sangue i suoi geni migliori». Fu lei che volle entrare nella camera mortuaria, quel 19 luglio 1992, lo guardò, lo accarezzò per l’ultima volta e disse alla famiglia: «Tranquilli, sotto i baffi papà sorrideva».
Una roccia. Una donna con un senso del dovere smisurato. Che è rimasta al suo posto di assessore alla Sanità nella giunta Crocetta – pur con molti mal di pancia – fino a quando è stato arrestato il pupillo del presidente, Matteo Tutino, chirurgo plastico accusato di fare lifting e liposuzioni in un ospedale pubblico, a spese del contribuente. Lucia di fare l’orpello antimafioso, la foglia di fico non aveva proprio voglia. Se n’è andata dicendo basta con la politica e tagliando corto: «Non capisco l’antimafia come categoria, sembra quasi un modo di costruire carriere. La legalità per me non è facciata, ma la precondizione di qualsiasi attività». E Manfredi rincara la dose. «Io penso che le parole di mia sorella dovrebbero aprire un dibattito, ma non tocca a me farlo. Quel che posso dire è che tutti noi fratelli, anche Fiammetta che appare più defilata ma segue tutto con grande attenzione, la pensiamo esattamente come Lucia».
E tutti insieme, i tre fratelli, hanno detto di no alla traslazione della salma del padre nella chiesa di San Domenico, Pantheon della città, come invece è avvenuto per Falcone. «Non c’è stata alcuna opposizione polemica – spiega Manfredi – mia sorella Lucia da assessore alla Sanità ha pure dato il nulla osta a quel trasferimento. Noi semplicemente abbiamo ringraziato e detto di no. Per noi era inconcepibile separare mio padre da mia madre. Mia madre ha fatto tanti sacrifici per costruire la cappella al cimitero di Santa Maria di Gesù, per stare insieme con lui. Dopo la strage, sempre più credente, ha aspettato ogni giorno di ricongiungersi a papà. È rimasta qui, ha resistito, grazie all’amore per noi e per i suoi nipoti che ha visto nascere. Tutti, a eccezione della più piccola, la seconda bambina di Fiammetta, che è nata dopo la sua morte. Mai li avremmo separati».
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