La nuova riforma elettorale sull’elezione dei sindaci approvata in Sicilia è stata al centro di molte polemiche, perché da più parti è stata definita una legge “truffa”, dato che si può diventare Sindaci al primo turno se si supera il 40% dei voti. Eppure questa legge potrebbe rappresentare l’ennesimo errore di valutazione del Partito democratico che mira a indebolire il Movimento 5 Stelle (ed altri) ma che nei fatti rischia di provocare un effetto boomerang. “La legge n 17 dell’11 agosto 2016, approvata dall’Assemblea Regionale Siciliana su spinta del Pd e parte del centro destra, potrebbe subire una sorte simile all’Italicum, giacché tra qualche tempo chi l’ha proposta e sostenuta potrebbe pentirsi di averlo fatto, come accaduto per la legge elettorale approvata in Parlamento”. A sostenerlo è il politologo Giancarlo Minaldi, docente di Scienza Politica all’Università Kore di Enna, che boccia in toto questa nuova riforma elettorale. La legge n. 17 stravolge poco il quadro elettorale precedente o, almeno, non lo cambia come alcuni avrebbero voluto (abolendo per esempio il ballottaggio), ma introduce alcune novità importanti che, per coloro che l’hanno congegnata, dovrebbe frenare la corsa del movimento di Grillo o di altri soggetti politici dotati di una forte immagine ma privi di un consistente e capillare sostegno partitico, come il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. Oltre all’abbassamento della soglia per evitare il secondo turno, scesa al 40%, la novità sostanziale riguarda la reintroduzione dell’effetto trascinamento che in Sicilia è stato eliminato e reinserito più volte, in base all’andamento e ai rapporti di forza del momento.
“Questa reintroduzione – spiega il politologo Minaldi- suggerisce una riflessione sugli obiettivi dei partiti politici e, in particolar modo del Pd, che hanno voluto riesumare il trascinamento dopo averne ottenuto l’abrogazione appena cinque anni fa. Con l’approvazione della legge 7 del 1992, la Sicilia anticipò in qualche modo l’elezione diretta del sindaco in Italia. Quella legge mise al centro il problema del nesso tra sindaco e consiglio comunale e lo risolse evitando l’effetto trascinamento con l’introduzione della doppia scheda, sicché sindaco e consiglieri venivano eletti esprimendo due voti. Questo in qualche modo sanciva una separazione tra sindaco e consiglio comunale essendo addirittura previsto il referendum per sfiduciare il sindaco. In effetti- dice ancora Minaldi- quella legge che poi verrà modificata soltanto del 1997, fu molto importante perché consentii l’elezione di sindaci che altrimenti non avrebbero raggiunto l’obiettivo perché legati a coalizioni deboli e mi riferisco principalmente a quelle di centro sinistra. Grazie a questo meccanismo ci furono comuni che vissero una stagione diversa con l’elezione di sindaci in qualche modo svincolati dal sistema della preferenza reticolare che in Sicilia ha sempre contato tanto e ha posto in una posizione di debolezza il centro sinistra, ad esempio i Ds e il primo Pd rispetto al centro-destra. Il sistema reticolare di mobilitazione individualistica del consenso consentì ad esempio, nel 2007, di rieleggere Cammarata a Palermo, grazie proprio all’effetto trascinamento”.
Nel 2011, il Pd dialogante con Lombardo riuscì a strappare la riforma che annullò quel meccanismo. “Quella riforma tuttavia – spiega ancora Giancarlo Minaldi – non avvantaggiò il Pd, in primo luogo perché nel frattempo la strutturazione del consenso al partito era profondamente mutata, essendo sempre più caratterizzata dal voto di preferenza e, dunque, dalla mobilitazione individualistica del consenso. In secondo luogo perché, quello stesso modello ha progressivamente perso spessore e salienza: per le liste di centrodestra e in gran parte per lo stesso Pd si vota ancora prevalentemente esprimendo preferenze ma il numero assoluto e le relative percentuali delle liste si è nettamente ridimensionato. Paradossalmente, nel 2012 le dimensioni della vittoria di Leoluca Orlando furono ampliate dall’eliminazione dell’effetto trascinamento, ma tutte le liste di centrodestra – che per inciso sostenevano candidati diversi – insieme superarono appena il 40%. Il Pd e la lista a sostegno del suo candidato sindaco non andarono oltre il 14%, sia pur con tassi di preferenze altissimi. Insomma, quel modello già mostrava evidenti segni di un indebolimento legato alla progressiva erosione delle risorse che alimentano la macchina distributiva regionale. Oggi tutto lascia ipotizzare un’accentuazione del fenomeno. Basti pensare che nel 2013, quando il M5S sfiorò il 35% in Sicilia, stando alle analisi dei flussi dell’Istituto Cattaneo, a Palermo oltre il 30% di chi aveva votato Udc nel 2008 decise di votare M5S. Una cifra enorme. A mio modo di vedere- continua il politologo riferendosi legge n 17 del 2016- quest’ultima riforma rappresenta l’ennesimo errore strategico commesso da centro-sinistra e parte del centro-destra che invece di rilanciare il profilo dei propri candidati ed elaborare progetti politici di respiro, di fronte all’avanzata del Movimento 5 Stelle recuperano l’effetto trascinamento sperando in quel modello di produzione del consenso che però ha dimostrato una netta obsolescenza. Il rischio è che alle prossime elezioni, chi si avvantaggi realmente di questa riforma sia proprio il M5S che esprime un voto di appartenenza che va oltre il singolo candidato. È infatti possibile che il M5S si presenti con un candidato sindaco non esattamente carismatico ma in grado di capitalizzare per effetto del trascinamento anche quella quota di consenso attribuita al ‘marchio’ 5S. Non sarà forse una percentuale altissima, ma è già accaduto in altri comuni italiani e in città come Palermo potrebbe avere un peso non irrilevante.