Istituire un fondo per accantonare il tfr dei dipendenti regionali. Sarà probabilmente questa una delle prime proposte che finirà sul tavolo del nuovo governo della Regione siciliana. A suggerirla sarà Ignazio Tozzo, direttore del Fondo Pensioni Sicilia: «È sicuramente uno strumento auspicabile – dice – ma soprattutto garantirebbe trasparenza e prudenza sull’uso dei fondi destinati ai dipendenti regionali». Attualmente tfr (trattamento di fine rapporto) e tfs (trattamento di fine servizio) non vengono accantonati dalla Regione, ma vengono erogati di volta in volta con risorse del bilancio regionale, con il Fondo Pensioni a fare semplicemente da tramite. Il rischio è che con le difficoltà economiche della Regione, possano esserci ritardi nei pagamenti delle buonuscite. Come è avvenuto una settimana fa, quando Tozzo si è visto costretto a comunicare che il tfs non poteva essere erogato perché la Regione non aveva trasferito le somme (9 milioni 860 mila euro) per mancanza di liquidità.
Ma questa non è l’unica anomalia del sistema previdenziale della Regione siciliana che gestisce in casa le pensioni dei propri dipendenti, l’unica in Italia. Fino al 2009 tutta la previdenza veniva gestita attraverso il gran calderone del bilancio regionale dove confluivano i contributi dei dipendenti e da dove si attingeva per pagare le pensioni. Un sistema rischioso che ha retto in tempi di vacche grasse, ma che presentava problemi di sostenibilità nell’immediato futuro. Così la Regione aveva provato a trasferire la previdenza all’Inpdap, ma l’accordo era troppo oneroso, in quanto avrebbe dovuto trasferire contemporaneamente il montante contributivo, stimato tra 1,5 e 2 miliardi di euro. Tre anni fa la soluzione con l’articolo 15 della legge regionale 6/2009 che ha creato il Fondo di quiescenza. I dipendenti sono stati suddivisi in due categorie: quelli con “Contratto 1” assunti prima del 1986 per i quali la pensione è del tipo “a ripartizione” e viene erogata con fondi del bilancio. Per loro si applica il trattamento pensionistico regionale (più vantaggioso) per il periodo fino al 31 dicembre 2003, mentre per il successivo si applica il sistema contributivo statale. Attualmente vi rientrano (ad esaurimento) 7.903 dipendenti che avranno una pensione pari al trattamento retributivo se si va con il massimo dell’anzianità, mentre è del 91% con 30 anni di servizio. Per gli assunti dopo il 1986 – 8.698 dipendenti indicati come “Contratto 2” – la pensione viene gestita dal Fondo, calcolata con sistema “a capitalizzazione” e il trattamento contributivo è identico a quello degli statali. Il Fondo Pensione Sicilia gestisce le pensioni del “Contratto 2”, mentre si limita a fare da tramite per le altre.Attualmente sono 16.200 i pensionati regionali, di cui 117 con “Contratto 2”. Secondo i dati forniti dal Fondo Pensioni, nel 2011 si sono spesi 563 milioni di euro per le pensioni del “Contratto 1”, 2,6 milioni di euro per le altre. Secondo le previsioni effettuate dal Dipartimento di Funzione pubblica entro il 2015 andranno in pensione 318 dipendenti, di cui 96 appartenenti al “Contratto 2”.
La creazione del Fondo ha quindi messo in parte ordine a questo settore. Lo strumento ha chiuso il 2011 con un avanzo di 140.760.112,06 euro e il suo funzionamento costa 385 mila euro all’anno, oltre agli stipendi dei dipendenti. Ma non è immune da problematiche. La legge 6/2009 prevede che al Fondo vengano trasferiti 885 milioni di euro, pari al montante contributivo dei dipendenti, con rate annuali da 59 milioni di euro. Le rate sono state trasferite nel 2011, non ancora nel 2012. Per il 2010 la Regione ha deciso di trasferire l’equivalente in immobili, ma le strutture scelte sono state rimandate al mittente, perché inadeguate a creare valore, e ancora si attende una nuova proposta: «Se il trasferimento continuerà a non pervenire, saremo costretti ad attivare azioni legali contro la Regione», spiega Tozzo.
La spesa previdenziale della Regione, è comunque, secondo la Corte dei conti destinata a crescere fino a oltre 576 milioni di euro nel 2014. Tanto da ritenere necessario «una radicale riforma del sistema – si legge nel giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione – volta a garantire, nel breve e medio periodo, almeno una limitazione della crescita della spesa previdenziale e ad assicurare, nel lungo periodo, una sua più adeguata copertura attraverso il ricorso, in misura significativa, alle entrate contributive». In particolare occorre «armonizzare il sistema con quello statale in ordine al meccanismo di quantificazione del trattamento di fine servizio, nonché, in una prospettiva di medio periodo, per la previsione di un metodo di revisione dei requisiti di accesso al trattamento di quiescenza in funzione della speranza di vita». Mentre Dario Matranga e Marcello Minio, segretari generali del Cobas/Codir, sindacato autonomo dei dipendenti regionali, puntano il dito sulle maxipensioni: «Abbiamo chiesto di fare una revisione delle pensioni sopra i 100 mila euro, perché potrebbero esserci situazioni particolari che rasentano il caso di Felice Crosta (il dirigente che andò in pensione con 500 mila euro all’anno, poi “ridotti” per legge a 227 mila euro, ndr)». Nel frattempo l’anno scorso l’Ars ha abolito il privilegio della legge 104 che permetteva ai regionali di andare in pensione con 25 anni di servizio (20 per le donne) per accudire un parente malato. Intanto il privilegio, però, aveva già creato diversi scompensi al sistema pensionistico siciliano.
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