L’uomo che fu accusato di essere il diavolo dell’antimafia inquisisce il santo dei migranti. Il magistrato ingiustamente indicato negli anni Ottanta come il «Corvo» degli anonimi avvelenati contro Giovanni Falcone incrimina adesso il sacerdote che si specchia in papa Bergoglio e scrive sul Fatto
quotidiano.
Il bene e il male s’intrecciano e confondono ancora una volta nella Sicilia degli intrighi che stavolta ha per sfondo le parrocchie di Mazara del Vallo, la diocesi di monsignor Domenico Mogavero, costretto a varcare nella vicina Marsala la soglia del suo inquisitore, il procuratore della Repubblica Alberto Di Pisa.
A 71 anni, ad appena un mese dalla pensione, il magistrato che un tempo indagava su appalti, mafia e Ciancimino, poi al centro di un intrigo da spy story, si avvia a chiudere la carriera con un colpo al predicatore dell’accoglienza, al vescovo convinto che il celibato possa cadere e che la Chiesa debba aprire le porte ai gay, come ha ripetuto in una recente intervista al giornale di Marco Travaglio, prima di diventarne collaboratore. Mogavero, ex sottosegretario della Conferenza episcopale italiana, era stato inviato nella vicina Trapani come «visitatore apostolico» per ammanchi milionari addebitati all’ex vescovo Francesco Micciché, diventato suo strenuo avversario. Forse oggi a sua volta compiaciuto della legge del contrappasso abbattutasi sul collega sostenuto dal Vaticano. Considerato aperto e al di sopra di ogni sospetto, Mogavero, popolare sul fronte dell’immigrazione, era stato nominato anche postulatore della beatificazione di don Pino Puglisi.
Ma un corto circuito era già scattato prima della scorsa estate, quando papa Francesco lo convocò per un colloquio privato chiedendogli notizie sul buco finanziario frattanto scoperto nella sua diocesi con titoli di giornale che, forse esagerando, parlavano di un ammanco di 6 milioni di euro. Mogavero, che allora parlò di «colossali bufale», deve adesso spiegare a Di Pisa come sono spariti 180 mila euro e come ne abbia spesi altri 250 mila.
Cifre contestate mostrando al magistrato i propri estratti conti, e spiegando: «Ecco il bonifico da 100 mila euro a favore di un artista ingaggiato per le opere sacre nella nuova chiesa di Pantelleria, soldi mai finiti nel mio conto…».
Motivazioni che forse lasciarono perplesso papa Francesco, visto che il presule, dopo tanto parlarne, rimase ai blocchi di partenza, escluso dalla corsa a vescovo di Palermo, vinta da un sacerdote di periferia. Adesso alle stesse giustificazioni sembra non credere affatto il procuratore Di Pisa, ormai alle ultime pagine della Via Crucis di Gianluigi Nuzzi: «Utile lettura questo affresco su conti e intrighi del Vaticano. Storie simili a quelle di Mazara del Vallo. Certi meccanismi sembrano gli stessi. Anche perché tutto parte dall’uso dei fondi dell’8 per mille, soldi di tutti noi. Per capire, per trovare i riscontri, io e il mio sostituto che indaga, davanti alla documentazione della Guardia di finanza, non avevamo altra scelta se non quella di cercare i riscontri. Per farlo dovevamo necessariamente interrogare il vescovo. E non potevamo sentirlo in altro modo se non come indagato. È anche un fatto tecnico…».
A questa ciambella tecnica s’aggrappa monsignor Mogavero nel mare in tempesta. Lo sa che rischia di affondare e decide di collaborare aprendo i cassetti della Curia. Dove Di Pisa mette le mani con riguardo, forse pensando anche a possibili equivoci, sviste, errori: «Fra carte fuori posto, assegni
dubbi e spese non chiare, noi abbiamo l’obbligo del riscontro. L’errore giudiziario è sempre possibile. Niente di irreparabile. Non lo abbiamo arrestato. Bisogna sempre essere cauti». Come non lo furono con lui, sembra voler dire, ma non dice. «Lasciamo perdere la mia storia. Le mie idee su quella vicenda me le sono fatte. Molti salirono sul carro per abbattermi. Il risultato fu che mi vennero tolte le inchieste su appalti e massonerie, Ciancimino e omicidio Insalaco…». E pensa sempre che Falcone sbagliò? Risposta affilata: «Non tocchiamo i santi». Detto mentre tocca i preti. Ma rinnovando dubbio e speranza: «Il prete poi magari mi assolve, se c’è errore».
Felice Cavallaro – Il Corriere della Sera
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