Last updated on 1 gennaio 2022
Il Giudice Severino Santiapichi ha compiuto 90 anni e per lui sono arrivati anche gli auguri del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il quale, dalle pagine del Giornale di Scicli, ha voluto sottolineare il ruolo positivo dell’illustre cittadino sciclitano nella storia dell’Italia contemporanea. Scrive tra l’altro il Presidente “…la Sua fermezza e la Sua competenza hanno rafforzato, in momenti molto difficili della nostra storia, la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni democratiche e nella giustizia”.
Santiapichi, Procuratore ad honorem della Corte di Cassazione, ha presieduto la Corte d’Assise di Roma per circa vent’anni e per sette anni è stato vice presidente della Corte Suprema in Somalia. Il giudice sciclitano è divenuto famoso al grande pubblico per il processo alle Brigate Rosse e per quello del terrorista turco Ali Agca che nel maggio del 1981 tentò di uccidere il Papa Giovanni Paolo II. Dopo il pensionamento Santiapichi ha continuato ad essere protagonista ricoprendo ruoli istituzionali di pregio, ma ha voluto principalmente dedicarsi all’attività di scrittore e alla sua Scicli. In un capitolo de “Il serpente gioiello e la iena della Savana” parla del “mestiere di magistrato” descrivendolo come quello del sarto che prima di cucire un paio di pantaloni usa chiedere ai propri clienti da che parte portano i coglioni, se sulla destra o sulla sinistra.
“Questo impicciarsi dei coglioni degli altri, questo frugare o censurare la vita degli altri con lo scoramento che talvolta ne consegue, è il mestiere del giudice”. Narra soprattutto la difficoltà che si trova nell’applicare le leggi quando queste non ti lasciano nessuna scelta, magari imponendo la pena di morte “se tu che sei pagato per la giustizia cancelli la vita di un essere umano chi ti salverà dal rimorso?”. Per Severino Santiapichi, in sintesi, il mestiere del magistrato al quale “spesse volte viene voglia di incolpare la penna per alcune scelte, come se questa ti avesse preso la mano e tu non agivi, eri agito”. Ho incontrato Santiapichi diverse volte, nel 2008, in occasione del trentesimo anniversario dell’omicidio di Aldo Moro mi rilasciò una lunga intervista dove ripercorse i giorni del processo Moro tra difficoltà e minacce. Di seguito uno stralcio di quella intervista nella parte dove Santiapichi parla dei primi giorni, dei pedinamenti e della mancanza di una scorta che lo portò a dormire in Sagrestia:
Diciamo che durante il processo Moro mi sono sentito spesso “amorevolmente seguito”. La prima notte del processo Moro fui costretto a dormire nella sagrestia di una chiesa perché nessuno voleva correre il rischio di accogliere una persona “sotto il mirino delle Br”. L’allora fidanzato della signora Faranda, aveva raccolto diverse mie foto e quando in udienza gli si chiese il perché di questo “accanimento fotografico” rispose candidamente che era un appassionato di fotografia e che il mio era un volto fotogenico. Gli stessi imputati mi lanciavano dei segnali inequivocabili su quella che sarebbe stata la mia fine. Per quindici anni la mia vita è rimasta sospesa. Sono stato costantemente sottoscorta e non ho potuto godere di quelli che sono gli svaghi comuni a ogni normale cittadino: mai un film, mai un teatro, mai un pubblico evento.
Che cosa contraddistingue il processo Moro rispetto agli altri processi?
“Durante i processi per terrorismo, ai Nap (nuclei armati proletari) prima e alle Br dopo, s’inaugurò la stagione dei processi ai magistrati. La strategia degli imputati era di mettere in difficoltà i magistrati attraverso un vero e proprio “contro processo”. Personalmente ho ricevuto diverse richieste di ricusazione provenienti dagli imputati. A distanza di anni, devo onestamente riconoscere che siamo stati a bravi a tenere in pugno il processo affermando la forza dello stato e delle istituzioni».
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