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Ex province in Sicilia, ecco quanto ci costa la lunga transizione

Last updated on 28 febbraio 2021

Fondi che dovrebbero essere destinati agli investimenti che finiscono per essere dirottati al pagamento dei mutui, costo del personale mediamente doppio rispetto al resto d’Italia, crescita dei trasferimenti di risorse regionali a fronte  di una evidente diminuzione dei servizi e del quasi azzeramento dei trasferimenti nazionali.

E’ il rosario dei problemi delle ex Province regionali in Sicilia che sono tali solo di nome visto che i Liberi consorzi di comuni  e Città metropolitane ancora oggi continuano a operare “con gli statuti, i regolamenti, le risorse umane, strumentali e finanziarie delle ex Province regionali, esercitando ancora le funzioni precedentemente svolte, all’atto di entrata in vigore della legge regionali 15/2015”.  Perché, è chiaro, un vero e proprio cambio non c’è stato nonostante la Sicilia abbia approvato almeno cinque leggi di riforma.

Lo dice la Sezione di controllo della Corte dei conti per la Regione siciliana presieduta da Maurizio Graffeo nella relazione depositata in sede di audizione di fronte alla commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale.  In Sicilia la fase transitoria dura dal 2013,  e, a  parte le tre aree metropolitane (Messina, Catania e Palermo) al vertice delle quali si trovano i sindaci dei rispettivi capoluoghi, i sei restanti Liberi consorzi che corrispondono alle aree di altrettante province, sono retti da commissari sin dal lontano 8 aprile 2014 e continueranno a essere retti da commissari almeno fino al 31 dicembre di quest’anno sulla base dell’ennesima proroga decisa dal parlamento regionale con la legge n. 2 del 26 gennaio di quest’anno.

Questa interminabile transizione ha avuto, conseguenze sulla gestione degli enti territoriali di area vasta sia sul fronte della gestione del personale che su quello della gestione dei servizi e ancora sul fronte delle entrate e della spesa in generale: “Hanno risentito particolarmente i servizi per disabili e quelli di supporto alle scuole di secondo grado; nei casi più gravi (per esempio il Libero consorzio di Siracusa), è stato compromesso addirittura il pagamento degli stipendi”.

Per quanto riguarda le entrate si assiste da un lato a un forte ridimensionamento dei trasferimenti statali che subiscono una flessione del 91,9% e nel triennio 2012-2014 passano da 90,3 milioni a 7,2 milioni del 2014 mentre negli esercizi 2015 e 2016 subiscono una forte lievitazione  (attestandosi rispettivamente a 151 e a 121 milioni) “per via dell’erogazione straordinaria di trasferimenti erariali pregressi, in parte scaturenti da riscossione di partite creditorie molto datate”. I trasferimenti regionali, invece, crescono  e passano per esempio da 50,6 milioni del 2015 a 112 milioni del 2016 (tenendo conto anche di trasferimenti straordinari). Per il 2017, scrivono i magistrati contabili, “il governo regionale risulta impegnato a confermare per i liberi consorzi comunali e le Città metropolitane i trasferimenti regionali del 2016 (53 milioni), incrementati di 70 milioni”.  L’andamento dei trasferimenti non è compensato dalle entrate tributarie “le cui riscossione – si legge – si riducono nel periodo in esame dell’11,7 per cento”.

Il personale tra il 2012 e il 2016 ha subito una riduzione del 19 per cento, soprattutto a causa del blocco del turn over: le unità sono passate da 6.013 a 4.914. “Nell’attuale fase transitoria – dicono i magistrati contabili – pur in presenza di una certa asimmetria nel riparto di funzioni, i livelli di spesa media pro capite a livello regionale (32.09 euro) risultano quasi doppi rispetto al valore medio nazionale che è di 17,18 euro che risente dei processi di ricollocazione del personale in esubero presso altre amministrazioni non ancora avviati in Sicilia”.  Per i magistrati contabili “la mancata ricollocazione del personale in esubero, altrove portata a termine con successo, fa aumentare i livelli di spesa”.

La spesa corrente, a causa dell’incidenza dei contributo alla finanza pubblica, passa dai 388,7 milioni del 2015 ai 429,4 milioni del 2016. “Al netto delle voci etero determinate (in cui rientrano anche i cosiddetti trasferimenti negativi) – si legge nella relazione – la spesa scenderebbe, rispettivamente a 333,25 milioni del 2015 e 299,54 milioni del 20916”.

 

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