Last updated on 16 aprile 2021
In un dossier di 131 pagine che entrerà nell’indagine della Procura di Bergamo e nelle cause di risarcimento, l’esperto di piani pandemici Pier Paolo Lunelli sostiene che l’Italia non ha adempiuto agli obblighi contenuti nel Regolamento Sanitario Internazionale dell’Oms che sottoscrisse nel 2007 in vista di un’eventuale pandemia. Lunelli scrive che l’Italia “ha trascurato o peggio ignorato sino a quando era troppo tardi” di sviluppare le “8 capacità fondamentali per fronteggiare una pandemia” come sarebbe stata obbligata a fare dal Regolamento sanitario internazionale (RSI) dell’Oms.
L’Italia doveva adeguarsi entro il 2012 ma non l’ha fatto
Nell’articolo 13 di questo documento, entrato in vigore il 17 giugno 2007, si legge che “ogni Stato è obbligato a sviluppare, rafforzare e mantenere il prima possibile, ma non più tardi di 5 anni dall’entrata in vigore del presente Regolamento, la capacità di rispondere prontamente ed efficacemente ai rischi per sanità pubblica e alle emergenze sanitarie di interesse sopranazionale”.
Lunelli, autore di protocolli per piani pandemici in diversi Stati europei ed ex responsabile della Scuola interforze per la difesa Nbc, la struttura che forma il personale militare e quello ministeriale al contrasto delle minacce di tipo biologico, radiologico e chimico, sostiene che “vi sono numerosi indizi” che portano a concludere sulla consapevole inerzia italiana. Tra questi, “il primo documento ufficiale che tratta il tema della core capacity – si legge nel dossier di 130 pagine – è stato pubblicato nell’autunno 2020 dal Ministero della Sanità e dall’Istituto Superiore della Sanità e il primo corso di contact tracing è partito a ottobre 2020 e i relativi protocolli erano stati diramati soltanto qualche mese prima”.
Per 5 anni l’Italia non ha compilato il questionario chiesto dall’Oms
“A partire dal 2007 – osserva Lunelli riferendosi a quanto prescritto dal Regolamento – si sarebbe dovuto investire sull’efficienza della sanità, sul suo dispositivo di sorveglianza e individuazione precoce delle malattie infettive, sulle strutture ospedaliere per gestire le epidemie (posti letto, terapie intensive) e sul personale necessario per la gestione di emergenze, compresa la sua formazione. Tutte attività – obbietta – che negli anni sono state ‘razionalizzate’ basandosi su dati statistici delle esigenze standard di routine degli anni precedenti”.
In particolare, per “5 anni su 10” (2012,2013,2014,2015 e 2017) l’Italia non risulta vere risposto “al dettagliato questionario di autovalutazione proposto dall’Oms” sulle proprie capacità in chiave di gestione di una possibile pandemia. “Prove logiche – aggiunge – dimostrano che il nostro Paese, quando ha risposto all’Oms, ha sovrastimato talvolta in maniera esagerata le proprie capacità”, come dimostrerebbe, in questa lettura, il Rapporto del 3 maggio 2020 pubblicato e poi sparito dal sito dell’Oms in cui si affermava che “l’Italia non era preparata a dovere”.
La falla del centro di comando per le emergenze sanitarie
Inoltre, non solo l’Italia non avrebbe seguito le istruzioni emanate dal RSI e dall’Oms ma nemmeno avrebbe tenuto presente la decisione, ritenuta vincolante anche dai pm di Bergamo, del Parlamento europeo del 2013 e le linee guida dell’Oms dello stesso anno, invece non vincolanti.
Tra le “capacità” non sviluppate secondo Lunelli quella di “coordinamento interministeriale sia nelle attività di preparazione, sia in quelle di emergenza” considerando che in Italia, soprattutto nelle prime fasi, “ciascuna regione comunicava i dati in formato diverso e molti degli attori in gioco si muovevano per conto proprio senza condividere in maniera integrata le risorse per la crisi”.
In sintesi, “numerosi sono i segnali che portano a concludere che il ruolo decisivo della fondamentale capacità di un National Focal Point (NFP) di coordinamento sia stato disatteso fino al 2020”.
Nelle linee guida del 2015 dell’Oms si chiedeva di dar vita a “un centro di comando e controllo per le emergenze sanitarie” ma “il Ministero della Salute non lo aveva realizzato e il ‘cerino’ è passato alla protezione civile che tuttavia non possiede competenze in questo ambito”.
Il piano pandemico a cui ci obbligava il Parlamento europeo
E nemmeno il nostro Paese avrebbe sviluppato la capacità di avere un piano pandemico aggiornato, tema al centro dell’inchiesta della magistratura di Bergamo. “Nella finestra 2012-14 si doveva procedere senza indugio non soltanto all’elaborazione ex novo del piano pandemico nazionale, come chiedevano le linee guida dell’Oms nel 2013, il Parlamento europeo e la Commissione europea ma anche al completamento delle otto capacità previste dal RSI senza le quali i piani sono soltanto libri dei sogni”. Ancora, “riguardo la capacità di sviluppare scenari e condurre la valutazione del rischio, come richiesto dall’Oms, il primo documento ufficiale che delinea scenari e rischi, è stato pubblicato post prima ondata, nell’autunno del 2020”.
“L’eccesso di mortalità tocca i 100mila”
In conclusione, per Lunelli “l’Italia non era pronta”, come dimostra il fatto che “siamo i primi al mondo con un tasso di mortalità pari a 120 decessi ogni 100mila abitanti” tra i Paesi più grandi, mentre tra quelli piccoli ci supera solo il Belgio. “Non è un caso che Belgio, Spagna ed Italia avevano piani pandemici aggiornati al 2006”.
L’eccesso di mortalità nel periodo febbraio-novembre 2020, rispetto alla media dei cinque anni precedenti, annota Lunelli, “è pari a circa 84mila decessi, che sono ovviamente imputabili all’emergenza sanitaria nel suo complesso. Di questi, a fine novembre, soltanto 57.647 sono collegati alla patologia Covid. Gli ulteriori 26mila decessi sono quindi legati alle conseguenze indirette dell’emergenza sanitaria. Quasi il 50% in più. A breve l’Istat fornirà i dati di dicembre. Noteremo che l’eccesso di mortalità generato dall’emergenza sanitaria avrà toccato, se non superato, i 100mila”. (AGI)
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