A Filicudi, nelle Isole Eolie, in provincia di Messina, il prezzo della benzina ha raggiunto i 2,35 euro al litro, conquistando il poco ambito primato del carburante più caro d’Italia, al punto che turisti e isolani hanno dato vita ad una protesta, presentando una petzione al sindaco di Lipari, Marco Giorgianni, nella quale si lamenta come “l’importo di 2,35 euro risulti essere maggiorato rispetto al prezzo praticato e autorizzato nelle altre isole”.
Sul versante sindacale la Cisl denuncia in particolare il “caso eclatante” dell’aumento della tassazione sugli idrocarburi, perché il raddoppio della tassa sull’estrazione e la produzione, nel contesto di una pesante crisi, genera “effetti devastanti”. In pratica, sottolinea la Cisl “si scoraggiano investimenti e investitori di cui la Sicilia ha bisogno come l’aria”.
Il settore degli idrocarburi rappresenta infatti il 75% della produzione industriale regionale e l’80 dell’export dell’isola.La Sicilia contribuisce alla produzione nazionale di idrocarburi, con circa il 4% del gas naturale (333 milioni di Smc/anno), il 76% della gasolina (18mila tonnellate/anno) e il 12% dell’olio greggio (630mila tonnellate/anno) e le aziende con impianti “on shore” nel 2012 hanno pagato circa 35 milioni di euro a Regione e Comuni su cui insistono i pozzi.
Secondo alcuni osservatori, l’effetto combinato di due misure inserite nel testo appena votato dall’Ars – il raddoppio delle royalties per la produzione di idrocarburi nell’Isola e la cancellazione del bonus fiscale per la quota iniziale di estrazione – avrà come scenario una fuga in massa delle compagnie, grandi e piccole, titolari di concessioni minerarie per la “coltivazione” di pozzi di greggio e gas sulla territorio siciliano.
Ma la stangata ai petrolieri potrebbe avere come effetto immediato lo stop definitivo alla produzione di idrocarburi per le concessioni minerarie medio-piccole in Sicilia. Sarebbero i campi marginali a bassa produzione di petrolio e gas, come quelli di Ragusa, Comiso2, Gela, Bronte, Gagliano a chiudere. . Aziende come Irminio srl ed Enimed, solo per la concessione Ragusa, stanno già valutando contabilmente, gli effetti del provvedimento per le produzioni di competenza.
Il territorio più colpito è Ragusa, che – assieme a Gela e alla fascia etnea-ennese – rappresenta la “miniera” di idrocarburi siciliani. La produzione di petrolio e gas in provincia per quei campi con margini economici relativamente bassi è stata tenuta in vita in questi anni grazie alla franchigia. Ovvero: l’esenzione per i primi 25 milioni di metri cubi di gas per le prime 20mila tonnellate di olio prodotti sulla terraferma. La Irminio, secondo la Uilcem, occupa 21 persone a cui si aggiungono 149 addetti delle circa 50 imprese dell’indotto. L’impatto complessivo nel Ragusano si attesta sui 400 posti a rischio.
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