Dal Sole 24Ore
Capo d’Orlando- La provocazione risale a qualche mese fa: costruire un aeroporto sull’acqua per portare nella zona dei Nebrodi i facoltosi turisti del Nord Europa e non solo. A lanciarla alcuni operatori di Capo d’Orlando (Messina), una delle mete del turismo siciliano più in voga negli anni Ottanta e Novanta e che da qualche tempo mostra tutta la sua gracilità.
L’area che va da Brolo a Sant’Agata di Militello ha dalla sua una costa di eccezionale bellezza e alle spalle i Monti Nebrodi con le loro tradizioni, piccoli paesi, itinerari per le escursioni. L’offerta turistica insomma c’è e l’ospitalità è garantita da una decina di alberghi e da tantissime case vacanza, bed&breakfast, agriturismo e qualche villaggio turistico. Tutti pieni? Non sempre: la settimana di Ferragosto strapiena poi il nulla, o quasi. È il termometro del turismo siciliano, industria che non riesce a decollare pur avendo tante potenzialità. Un tema molto chiaro agli operatori. Uno di questi è Filippo Filippeschi, un toscano che quasi vent’anni fa a Copenaghen ha creato insieme ad altri In-Italia, tour operator che fattura circa 10 milioni l’anno e oggi ha due sedi: una in Danimarca (con 14 impiegati) e una a Capo d’Orlando dove lavorano 7 persone. «Ci sono parecchi punti critici. Uno riguarda i trasporti – spiega –: qui non serve certo un aeroporto, serve il doppio binario, serve un sistema ferroviario integrato con gli aeroporti». E poi serve una modernizzazione che stenta ad arrivare: «Mi hanno inviato un testo di legge di riforma – spiega – che appesantisce ulteriormente il settore. Sembra uno stipendificio. C’è poi un grande problema di comunicazione e di promozione: gli operatori sono con l’acqua alla gola perché non sanno vendere i prodotti».
C’è chi ha “fatto l’impresa” senza chiedere contributi pubblici. È il caso di Eugenio Barbagiovanni e Melania Granata che hanno investito a Naso, paesino sulla collina, dove gestiscono il ristorante Osteria delle palme e dove hanno creato un nucleo di paese albergo: «Qui ci sono tutte le condizioni per un turismo di qualità – dice Eugenio – beni culturali e naturalistici di primordine. Manca il marketing». La famiglia di tedeschi seduta al tavolo dimostra che lo sforzo ha dato risultati: «Abbiamo adeguato i menu con la traduzione in più lingue. Ci sforziamo di dare agli stranieri quello che chiedono: semplicità e qualità».
L’imprenditore cui va riconosciuto il merito di questa ed altre trasformazioni culturali in quest’area è Carlo Vinci che quasi 18 anni fa a San Gregorio, frazione di Capo d’Orlando, lanciò con Legambiente il pescaturismo e Mare d’Amare che oggi è un brand riconosciuto: «Non ho mai chiesto contributi pubblici per non avere il peso opprimente della burocrazia». In questi anni Vinci ha sviluppato un sistema di network con i proprietari di case organizzando così un sistema di offerta diffusa che da qualche tempo ha esportato nel vicino comune di Brolo dove con il marchio Dimorando oggi sono disponibili circa 500 posti letto in strutture gestite direttamente dalle famiglie. Accanto a questo ha avviato con Maria Di Luca un sistema di ecomuseo che si fonda sulla collaborazione con alcuni sindaci della zona: «L’idea è quella di fare dei percorsi sulle identità e sfruttare al massimo i beni culturali e i piccoli musei che già esistono sul territorio» spiega lei. Due i progetti nuovi: Brolo low cost che consente alle famiglie di trascorrere un finesettimana a prezzi competitivi e la Fondazione Partecipando che nascerà a settembre: 250 persone hanno già aderito. «Ognuno contribuirà con 350 euro l’anno – dice Vinci – il prezzo di un caffé al giorno. E così potrà aiutare il proprio territorio».
Il paradosso del turismo dei Nebrodi
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