Aggregare i comuni sotto i 5 mila abitanti, riorganizzarne la struttura interna e prevedere un’integrazione e non un dualismo tra gli enti locali e i liberi consorzi che si dovranno formare. È quanto prevede un appello firmato da 23 docenti universitari siciliani per la riforma del governo locale in Sicilia.
I professori suggeriscono alcuni “punti fermi” da inserire nella riforma dell’assetto istituzionale locale dell’Isola a partire dall’individuazione di territori e le comunità che devono costituire i Consorzi comunali e le Città metropolitane. Criteri che, secondo i docenti, devono superare «i soli parametri quantitativi, determinati astrattamente ed oggettivamente, come era avvenuto con la deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012 che aveva fissato in 2.500 kmq ed in 350.000 abitanti rispettivamente la superficie e la popolazione minime necessarie per la costituzione delle nuove Province». Bisogna guardare invece «ai dati fisico-ambientali, storico-amministrativi, socio-economici, culturali che, a differenza dei primi, sono assolutamente unici, individuali, soggettivi» per creare «una unità geografica, ambientale, geomorfologica, idrografica». In questo contesto «le vecchie circoscrizioni provinciali non potranno più sopravvivere e dovranno essere rideterminate».
Altro aspetto da considerare è il «modello di governance» di queste nuove realtà locali che deve essere necessariamente «integrata» e non «duale» perché «la nascita dei liberi Consorzi comunali e delle Città metropolitane non deve significare la creazione di nuovi soggetti autonomi diversi dai Comuni ma l’organizzazione di una struttura di collegamento tra questi ultimi che non separi ma tenga legato il governo locale per fornire servizi più economici, efficienti ed adeguati alla soddisfazione dei bisogni delle comunità di base». Promosso, invece, l’elezione degli organi di governo con sistema indiretto di secondo grado che «implica la conseguenza che le organizzazioni in cui consistono si dispongono in un continuum che ne configura, appunto, un sistema federale», anche se il presidente e il sindaco di queste nuove realtà (consorzi e città metropolitane) vanno eletti direttamente.
Quarto punto fermo dell’appello è la governance integrata tra le funzioni di “regolazione” (cioè quelle politico-negoziale) e quelle di “prestazione” (quelle tecnico-gestionale), intervenendo «sull’attuale frammentazione di tutte quelle gestioni amministrative separate, opera dei più svariati organismi strumentali, che spesso hanno finito per esautorare le istituzioni locali dall’esercizio di proprie competenze senza tuttavia assicurare ai Territori gestioni virtuose e, soprattutto, democraticamente controllate». La proposta prevede la suddivisione del territorio in moduli che rappresenterebbe un ambito gestionale minimo e «l’insieme di più moduli, poi, coinciderebbe con il Libero Consorzio di Comuni per la gestione e regolazione di politiche pluri-settoriali su territori di “area vasta” (ambito omogeneo di programmazione)». In ogni caso il l’azione degli enti locali non deve essere più portata avanti per atti, cioè per singoli provvedimenti, ma «per progetti o per programmi».
Infine, la proposta forse più forte dell’appello: la riforma dei Comuni che deve passare, secondo il documento, necessariamente «attraverso un processo di aggregazione territoriale ed organizzativa (moduli base) – che interessa innanzitutto, ma non solo, i 201 Comuni con popolazione sotto i 5 mila abitanti – di grandezza ottimale per l’esercizio delle competenze fondamentali a partire da quelle inerenti il welfare personale e famigliare secondo i principi di efficacia, efficienza, economicità e di riduzione delle spese». In particolare, i Comuni sotto i 5 mila abitanti dovrebbero aggregarsi «obbligatoriamente», mentre per gli altri la scelta è facoltativa. Contemporaneamente occorre una nuova organizzazione interna dei Comuni rimettendo «al centro la questione del ruolo dei Consigli comunali troppo spesso ridotti ad una sterile azione preconcettualmente svolta in opposizione all’operato del Sindaco (e della Giunta)». In questo contesto occorrerebbe anche una partecipazione stabile negli organi di governo anche degli attori privati territoriali e andrebbe la figura del difensore civico non tanto come “avvocato della difesa” del cittadino bensì come “mediatore”.
Ecco i firmatari dell’appello:
Salvatore ANDO’ (Università “Kore” di Enna), Sebastiano BAVETTA (Università di Palermo), Cristiano BEVILACQUA (Università “Lumsa-S.Silvia” di Palermo), Pietro BUSETTA (Università di Palermo), Antonino BUTTITTA (Università di Palermo), Maurizio CARTA (Università di Palermo), Salvatore CURRERI (Università “Kore” di Enna), Renato D’AMICO (Università di Catania), Emilio GIARDINA (Università di Catania), Pierangelo GRIMAUDO (Università di Messina), Roberto LAGALLA (Università di Palermo), Antonio LA SPINA (Università “Luiss” di Roma), Giuliano Nicola LEONE (Università di Palermo), Giovanni MOSCHELLA (Università di Messina), Carmelo Fausto NIGRELLI (Università di Catania), Giacomo PIGNATARO (Università di Catania), Andrea PIRAINO (Università di Palermo), Antonio PURPURA (Università di Palermo), Antonio SAITTA (Università di Messina), Ornella SPATARO (Università di Palermo), Leonardo URBANI (Università di Palermo), Piero VIOLANTE (Università di Palermo).
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