Piantare alberi nei terreni abbandonati. In quelle terre spesso conquistate con il sangue. Un segnale per le comunità e non solo. L’albero diventa per loro simbolo di rinascita di un territorio segnato da incuria, incendi e una storia di mafia che è ancora viva nella memoria della gente. L’iniziativa è stata avviata da 11 associazioni di Piana degli Albanesi e Santa Cristina raccoglie i primi frutti.
L’idea: piantare alberi in un territorio “ferito”
“L’uomo che piantava gli alberi”: così si chiamava un famoso racconto di Jean Giono, in cui un pastore da solo riusciva a riforestare una vallata in Provenza. Un albero alla volta. In tanti credettero nella storia, ma Giono disse che era inventata, e che lui voleva solo “rendere piacevoli gli alberi, o meglio, rendere piacevole piantare gli alberi”.
Nino Cusenza, presidente dell’associazione Qvemi di Piana degli Albanesi, vuole un po’ questo: rendere piacevole piantare gli alberi. Tutto è iniziato da una discussione con un’amica. Ci si lamentava delle difficoltà nella vita di tutti i giorni a causa della pandemia. Da questa riflessione, l’idea per un progetto che è anche e soprattutto un gesto d’amore verso il territorio: piantare alberi dove adesso c’è solo la desolazione di un luogo in cui il lavoro non viene più dalla terra, e tanti eredi condividono appezzamenti che già in origine non sono abbastanza grandi per creare aziende agricole.
Un simbolo che si “pianta” all’interno di una storia più grande, fatta di persone morte proprio per quegli stessi terreni che oggi non sono più coltivati. Il 1° maggio del 1947 la banda criminale di Salvatore Giuliano uccise undici contadini in festa, e ne ferì gravemente altri 27. Nella zona rimane certamente il ricordo di una vicenda grama.
Ma forse ancora più sentito in questo momento è il dramma degli incendi, che quest’estate hanno portato il governo regionale a dichiarare lo stato di crisi. “Quest’anno c’è stato uno scempio tra Altofonte e Piana, e siamo ancora feriti da questa cosa. Si pensi, allora, alla grandezza di un albero in questo contesto. Per questo motivo vorremmo coinvolgere anche le scuole.”
L’“Albero del Natale” a Piana: non abete, ma castagno
I cittadini possono già oggi andare in vivaio con una sorta di ticket da mostrare al rivenditore. Lì potranno scegliere che tipo di albero piantumare: da frutto o da selva. Ed acquistarlo a un prezzo di favore, 4 euro per alberelli in panetto di terra, 3 euro per quelli a nuda radice.
Il proprietario del terreno, che deve trovarsi nelle località di Piana degli Albanesi e Santa Cristina, si impegna così a piantare l’albero e prendersene cura. Per chi non ha un terreno, sono stati disposti degli appezzamenti di proprietà dei Comuni. Nel ticket, che fa anche da attestato, c’è scritto che è un “impegno preso con me stesso”. E le associazioni, insieme a “Madre Natura, gli Alberi, gli Animali, i Cittadini”, ringraziano tanto per la partecipazione.
Gli alberi che sono stati scelti per il progetto sono tutti parte del paesaggio originale della zona. “Noi vogliamo piantumare castagni, sorbe, azzeruoli, frutti antichi ed endemici della zona, come possono essere anche le roverelle, le querce”, spiega ancora il presidente dell’associazione Qvemi, “Una volta grazie a quei terreni e quelle piante le persone ci vivevano tutto l’anno, e ne restava per i palermitani che venivano nel periodo della guerra a cercare qualcosa da mangiare”.
La popolazione ha risposto subito a questa “chiamata alle zappe”. Ad oggi sono già pervenute richieste per 230 alberi. Tutte di cittadini che hanno deciso di non lasciare più inutilizzati i loro terreni. Ma l’obiettivo finale è un altro. “Vorremmo arrivare almeno a 1000 alberi, anche se ci auguriamo di più.”
La storia di un gruppo di associazioni “di tutti i colori”
“Già quest’estate abbiamo collaborato con le altre associazioni nel progetto CoCu, per creare un libro di tradizioni culinarie arbëreshë (italo-albanesi, ndr)”, ha spiegato Cusenza. Ne è uscita un’opera collettiva con ricette di ogni famiglia della zona, e che in realtà riflette una cucina molto più siciliana di quanto atteso: “L’unica differenza è che noi qui in montagna mangiamo molte erbe selvatiche”.
Una prima esperienza attraverso la quale associazioni di diverso genere (anche a livello politico) hanno unito le forze per un obiettivo comune. “Si può fare una cosa che includa tutti – racconta ancora Cusenza – non senza colori, ma con tutti i colori, per non escludere nessuno. Anzi, adesso si sono aggiunte nuove associazioni che quest’estate non avevano partecipato a CoCu, tra cui Fondazione Hora di Massimo Plescia”.
“Il bello del territorio è la presenza di tante associazioni no-profit di vario genere”, spiega Massimo Plescia. Questo progetto “natalizio” diventa così modo per “ricondividere gli spazi abbandonati che fanno parte della bellezza del paesaggio”.L’associazione Qvemi prende il nome da “ku vemi”, che nell’albanese di Piana vuol dire “dove andiamo”. Un nome legato all’obiettivo dell’associazione: “Qvemi nasce due anni fa per migliorare le strade, in particolare quelle rurali, fare bellezza, trovare alternative nelle culture”, spiega Cusenza. E aggiunge: “Vogliamo fare della Sicilia il paradiso che è, e che noi spesso non vediamo”.