Last updated on 6 marzo 2021
Calano gli iscritti nelle università italiane, soprattutto in Sicilia, soprattutto al Sud. In Italia rispetto a un decennio fa per i corsi di laurea triennali mancano all’appello quasi 87 mila immatricolati. Lo rivelano i dati dell’Anagrafe degli studenti del ministero dell’Istruzione.
Rispetto al 2004/2005 nell’anno accademico in corso i diplomati che hanno deciso di proseguire gli studi sono calati del 27,5%. Su base nazionale.
Ma in Sicilia il dato è più drammatico: -50,7%. Il dato attuale è negativo anche se confrontato con quello di cinque anni fa: in Sicilia -25,3%). Commenta sul Corriere della Sera Stefano Paleari, numero uno dell’Università di Bergamo e presidente della Crui, la conferenza dei rettori italiani. «Il dato conferma un paio cose. Per questo Paese il sistema accademico non sembra essere una priorità». La seconda: «Le immatricolazioni sono
una fotografia del territorio. Se calano al Sud è perché aumenta il divario economico con il Nord». Insomma: gli iscritti sono sempre meno e quei pochi vanno dove sentono di avere più possibilità lavorative.«E a loro volta, i giovani del Nord vanno fuori, in Svizzera e Inghilterra», aggiunge Roberto Lagalla, rettore dell’Università di Palermo. La «fuga» dal Meridione, secondo Lagalla, è sotto gli occhi di tutti. «Anche se negli ultimi
tre anni nel mio ateneo — precisa — il dato si è stabilizzato». Ma il calo ha diverse cause. «Innanzitutto la discesa del numero nazionale degli immatricolati — ragiona — che al Meridione è più pesante perché molti dei nostri diplomati non vanno avanti». «Poi c’è la riorganizzazione dei corsi: sono sempre più quelli ad accesso programmato». Quindi le direttive di Roma «che ci chiedono di rispettare il rapporto docenti- studenti e che ci costringe a non iscrivere ragazzi alle lauree più appetibili e, invece, ad averne altre quasi deserte». Per non parlare dell’aspetto economico. «Le politiche per il diritto allo studio in Italia sono insufficienti», denunciano il presidente della Crui e Lagalla. «E in Sicilia non abbiamo nemmeno
una legge regionale su questo tema», sottolinea il rettore di Palermo.
Questi numeri autorizzano a riaprire il dibattito sulla chiusura di qualche ateneo? «Attenzione a non “desertificare” ulteriormente il territorio», avverte il rettore dell’istituzione siciliana. «Eppoi, a dirla proprio tutta, nella nostra regione ci sono tre università statali, in qualche altra, più piccola, anche quattro. Se vogliamo “sfoltire” diamo un’occhiata all’intero Paese».
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