Medici senza frontiere (Msf) “condanna con forza la decisione delle autorità giudiziarie italiane di sequestrare la nave Aquarius” per presunte irregolarità nello smaltimento dei rifiuti di bordo. Una misura che Msf, in una nota, definisce “sproporzionata e strumentale, tesa a criminalizzare per l’ennesima volta l’azione medico-umanitaria in mare”.
“Dopo due anni di indagini giudiziarie, ostacoli burocratici, infamanti e mai confermate accuse di collusione con i trafficanti di uomini – afferma Karline Kleijer, responsabile delle emergenze per Msf – ora veniamo accusati di far parte di un’organizzazione criminale finalizzata al traffico di rifiuti. E’ l’estremo, inquietante tentativo di fermare a qualunque costo la nostra attività di ricerca e soccorso in mare”.
L’Ong sottolinea che “tutte le nostre operazioni in porto, compresa la gestione dei rifiuti, hanno sempre seguito procedure standard” e che “le autorità competenti non hanno contestato queste procedure né individuato alcun rischio per la salute pubblica da quando Msf ha avviato le attività in mare nel 2015”. Medici senza frontiere “ribadisce piena disponibilità a collaborare con le autorità italiane”, ma “contesta la ricostruzione della Procura e respinge categoricamente l’accusa di aver organizzato qualunque attività abusiva finalizzata al traffico illecito di rifiuti”. Dopo la valutazione del decreto di sequestro e un’analisi interna, che, sostiene Msf, “dimostra come le accuse siano inaccurate e fuorvianti, l’Ong presenterà ricorso al Tribunale del riesame”.
“Siamo pronti a chiarire i fatti e a rispondere delle procedure che abbiamo seguito – dichiara Gabriele Eminente, direttore generale di Msf in Italia – ma riaffermiamo con forza la legittimità e la legalità della nostra azione umanitaria. L’unico crimine che vediamo oggi nel Mediterraneo è lo smantellamento totale del sistema di ricerca e soccorso, con persone che continuano a partire senza più navi umanitarie a salvare le loro vite, mentre – chiosa Eminente – chi sopravvive al mare viene riportato all’incubo della detenzione in Libia, senza alcuna considerazione del diritto internazionale marittimo e dei rifugiati”.