In Sicilia, tra il 2008 e il 2016, la crescita delle tasse per i contribuenti si è accompagnata ad una diminuzione della spesa dello Stato per servizi e investimenti. In termini pro capite, le entrate del settore pubblico a fronte delle spese erogate sono state inferiori per meno di mille euro negli ultimi tre anni (-995), ma erano inferiori per -2.176, otto anni prima. Nell’Isola, cioè, come pure nel Meridione, il residuo fiscale negativo è fortemente diminuito poiché si è andata sempre più assottigliando la spesa pubblica rispetto al prelievo. Al contrario, negli ultimi anni, le regioni del Centro-Nord, che registrano un residuo fiscale positivo (entrate maggiori delle spese per 2.558 euro), hanno visto ridursi tale saldo (era di 3.118 euro nel 2008) perché quote crescenti del prelievo sono state spese in quei territori, invece che concorrere al riequilibrio generale delle disparità che caratterizzano il paese.
Sono alcuni dei dati sulle entrate e le spese della Pubblica amministrazione siciliana contenuti nel Notiziario di statistiche regionali sui Conti pubblici territoriali, realizzato dal Servizio statistica dell’assessorato regionale all’Economia, presentato alla stampa dal vicepresidente della Regione siciliana e assessore all’Economia, Gaetano Armao, insieme con i dirigenti Giuseppe Nobile e Giovanni Bologna.
I flussi delle entrate e delle spese consolidate del settore pubblico, se sottratti gli uni agli altri, permettono di calcolare il “residuo fiscale”, ovvero un saldo che mostra per ciascuna regione la relativa posizione di “fornitore netto” di risorse (entrate maggiori delle spese) o di “fruitore netto” delle stesse (spese maggiori delle entrate).
Il Notiziario elabora dati raccolti anche in Sicilia, passando a setaccio i bilanci di 260 enti partecipati dalla Pubblica amministrazione (il cosiddetto settore pubblico allargato), per realizzare il “conto consolidato”, cioè l’aggregato che include i bilanci delle imprese pubbliche locali (società, enti, municipalizzate, ecc.), al fine di rilevare la somma totale di quanto spende il settore pubblico siciliano. L’indagine parte dai dati rilasciati dal Sistema dei conti pubblici territoriali (Cpt) per gli anni 2000-2016 e prende in considerazione i valori della Sicilia in confronto alle altre regioni.
Dai dati emerge come le scelte statali si siano orientate progressivamente verso una riduzione della redistribuzione interregionale operata dalla finanza pubblica. Confrontando i dati per i trienni estremi del periodo, infatti, i flussi redistributivi verso le regioni meridionali sono calati in termini reali di più del 10%, sia in valori assoluti che pro capite.
Interessante è capire cosa è successo tra il 2008 e il 2016. Nel 2016, le entrate pro capite del settore pubblico allargato in Sicilia registrano una riduzione dell’1,6% rispetto al 2008. Sono aumentati, invece, i tributi pro capite del 2,1%, nonostante i minori redditi e anche i contributi sociali pro capite (+30,2% in Sicilia; +16,8% nel Mezzogiorno), ovvero i versamenti contributivi all’Inps da parte dei datori di lavoro. Nel frattempo, però, a fronte di una riduzione delle entrate, è cresciuta la pressione fiscale in rapporto al Pil: in Sicilia, dal 2008 al 2016, è passata dal 30,5 a 35,8 per cento, nel Mezzogiorno da 30,7 a 34,1 e nel Centro Nord da 31,1 a 33,0 per cento.
“Ciò significa – si legge nel Notiziario – che il risanamento dei conti pubblici perseguito da vari governi, con particolare rigore a partire dal 2011, ha avuto effetti relativamente più onerosi nel Sud del Paese ed in particolare in Sicilia”.
Armao ha sottolineato la rilevanza del negoziato finanziario aperto con lo Stato che ha già prodotto i primi significativi risultati e che deve adesso concentrarsi proprio sui temi della condizione di insularità e sulla perequazione infrastrutture, ma sopratutto nella prospettiva del regionalismo differenziato (articolo 116 terzo comma Cost.) che stanno portando avanti Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.
“I residui fiscali favorevoli che ostentano le Regioni del Nord non solo sono fortemente recessivi alla luce dei dati illustrati oggi, ma risultano altresì alterati dalla circostanza che le imprese allocate in queste Regioni (le più rilevanti del Paese) non lasciano in Sicilia le imposte dovute per i beni ed i servizi venduti nell’Isola, così come impone lo Statuto. Ed é questa una delle questioni che sono poste nei tavoli di negoziato con lo Stato”, ha spiegato il vicepresidente.
La seconda parte della conferenza stampa ha riguardato l’andamento dell’economia nel 2018. I sette anni in cui la crisi economica ha colpito più duramente la Sicilia (2008 – 2014) hanno lasciato un fardello pesante che tuttora grava sulle possibilità di ripresa. Il trend negativo si interrompe nel 2015 con una crescita del Pil dello 0,7%, che però si indebolisce nel biennio successivo (0,3% e 0,5% rispettivamente nel 2016 e 2017), mentre le previsioni per l’anno che sta per concludersi sono lievemente migliori e orientate su un aumento pari a quello meridionale (0,7%). Il recupero di prodotto a partire dal 2015 dovrebbe aggirarsi intorno a 2,2 punti percentuali, a fronte degli oltre 15 persi nel periodo di crisi, mentre fanno meglio Italia e Mezzogiorno (4,7% e 3,3% rispettivamente).
La ripresa del 2018 è stata sostenuta dalla domanda interna proveniente dalla spesa delle famiglie, cresciuta dello 0,9% in media negli ultimi 4 anni, e dagli investimenti (2,6%) mentre appare negativo l’andamento dei consumi della Pubblica Amministrazione.
Si registra una ripresa in Sicilia e in Italia del numero di immatricolazioni di nuove autovetture a partire dal 2014, dopo la forte caduta registrata negli anni della crisi. Le informazioni più recenti, riferite ai primi nove mesi del 2018, confermano la tendenza espansiva nell’Isola (+1,3 per cento) a fronte di una variazione negativa (-2,4 per cento) a livello nazionale.
Aumenta pure, nel primo semestre, la spesa turistica dei siciliani all’estero (più 7,1% secondo i dati della Banca d’Italia) ed è in ripresa il volume delle transazioni nel mercato degli immobili residenziali che nei primi nove mesi dell’anno registra un aumento dell’8,1% rispetto allo stesso periodo del 2017.
Positiva è la spinta alla crescita proveniente dalla domanda estera. A chiusura del 2017, dopo la flessione osservata nell’anno precedente, le esportazioni dell’Isola fanno registrare un’impennata complessiva del 30,4% a fronte di un +1,1% dell’Italia.
Tra il 2016 e il 2017 è migliorato il tasso di occupazione 15-64 anni, passando da 40,1 a 40,6 per cento. Il tasso di disoccupazione si riduce dal 22,1% al 21,5%, confermandosi, comunque, fra i valori più alti in Italia. La tendenza positiva permane nel 2018: a ottobre il tasso di disoccupazione è stato del 19,5%, a fronte del 20,4% dello stesso mese dell’anno 2017; quello di occupazione ha raggiunto il 41,0%, contro il 40,7% di dodici mesi prima.