Last updated on 2 gennaio 2021
di Bartolo Megna*
Sono un tecnico e non un gestore, quindi la mia percezione del tutto è poco allenata al tema della fruizione. Ma un paio di cose, diciamo così, a titolo strettamente personale sulla cosiddetta Carta di Catania vorrei dirle. Nel complesso vedo buone intenzioni, alcune giuste idee di innovazione di una situazione stantia nello sfruttamento dei beni culturali, ma come sempre a costo zero per la Pubblica amministrazione, che così potrà vantarsi di aver messo in campo una rivoluzione che invece rischia di finire in un compromesso al ribasso.
Di positivo, intanto, vedo la possibilità di sfruttare patrimoni immensi e nascosti (non sai quante opere abbiamo restaurato e poi sono tornate nei depositi a prendere polvere e proseguire nel cammino di oblio), con alcune premesse giuste sulla modalità di compenso (interventi sulle opere o a favore dell’istituzione che le conserva). Ancora di buono c’è il fatto che il limite temporale tra 2 e 7 anni, rinnovabile una sola volta, permetterà a seconda dell’investimento necessario per il prestito, una certa flessibilità.
Ci sono però alcuni aspetti che suscitano più di una perplessità.
Per i beni necessari di restauro è previsto che le modalità di intervento vengano stabilite dall’istituto concedente e dalla Soprintendenza competente per territorio.
Sarà quindi notevole il lavoro aggiuntivo a carico delle istituzioni periferiche coinvolte che sono spesso sottorganico proprio nella parte tecnica.
Nei musei siciliani non mancano i custodi, almeno in alcune realtà, mentre i restauratori sono veramente pochissimi, e con il nuovo Codice dei Beni culturali a loro sono affidati i progetti di restauro; sono presenti alcuni storici dell’arte ma credo nessun tecnico di diagnostica o esperto di scienza e tecnologia per i beni culturali. Questi ultimi sono figure relativamente nuove come offerta formativa e sono quindi giovani, spesso molto motivati e dinamici ma sono praticamente assenti nell’organico della Regione.
Anche al Centro Regionale per la Progettazione ed il Restauro, che una volta aveva in organico queste figure, dopo i pensionamenti degli ultimi anni non ci sono stati turn over e i laboratori di diagnostica sono deserti, e i nuovi restauratori assunti di recente dopo lunghissima attesa hanno un inquadramento basso che non riconosce la loro elevatissima professionalità.
Nell’articolo 9 si affida l’inventariazione e la catalogazione dei beni concedibili alla Servizi Ausiliari Sicilia, una società nel cui funzionigramma (http://www.serviziausiliarisicilia.it/files/DB_sas_files/f5fff4ce20c2e18817733b9c572ef233_2.pdf) non è previsto un ufficio di catalogazione e nel cui organigramma non mi pare ci siano (http://www.serviziausiliarisicilia.it/files/DB_sas_files/eb3e8ce8899537d368c20639abc70156_2.pdf) restauratori o curatori di opere d’arte; nella pagina del personale, davvero molto lunga, sono presenti centinaia di catalogatori (420 se non ho contato male) ma quanti di essi hanno esperienza e competenza nella catalogazione dei Beni Culturali? Considerato che la loro identificazione, scheda di catalogo e descrizione sono compiti da restauratori o storici dell’arte.
Si passa dunque all’idea di far fare le schede a studenti in tirocinio formativo, soluzione che sembra individuata per evitare di dover investire qualcosa su questo tema. Preparare una scheda di catalogazione e restauro richiede esperienza, gli studenti di Conservazione e Restauro dei Beni Culturali lo fanno durante il tirocinio, sempre sotto la supervisione di un restauratore qualificato, ma far fare questo tipo di attività a giovani li esporrà, anche per inesperienza, a subire pressione, e a cedervi, da parte di chi chiede l’opera in prestito, che spingerà per avere una scheda più favorevole alle proprie esigenze che a quelle del bene culturale e della società.
L’assessorato punta su questi giovani in formazione ma quanto spende per sostenere la loro formazione? Il rinnovo della convenzione con l’Università di Palermo per il Corso di Studi in Conservazione e Restauro non prevede alcun contributo economico, togliendo il finanziamento di 200.000 euro l’anno previsto dalla convenzione di 7 anni fa, e che era già una cifra ridotta rispetto a quella in essere negli anni precedenti e necessario per il pieno funzionamento di un Corso di Studi intrinsecamente molto costoso. Il coinvolgimento dei tanti restauratori in servizio presso l’Assessorato, che nella maggior parte dei casi ha un inquadramento economico di basso livello in quanto non inseriti in organico come restauratori, è previsto a costo zero spingendo, giustamente, personale dotato di un’elevata professionalità a una certa riluttanza nei confronti di questa possibilità, che viene vista come poco gratificante proprio per il mancato riconoscimento del ruolo di restauratore, che inoltre per molti di loro è certificato dall’elenco dei restauratori abilitati del MIBAC sulla base dell’ex art. 29 del Decreto Legislativo 42/2004 (https://dger.beniculturali.it/wp-content/uploads/2020/12/ELENCO-COMPLESSIVO-DIPLOMATI-AGGIORNATO-AL-10-dicembre-2020.pdf):
Nota finale: Il Restauratore di beni culturali mobili e di superfici decorate di beni architettonici, sottoposti alle disposizioni di tutela del Codice, è il professionista che definisce lo stato di conservazione e mette in atto un complesso di azioni dirette e indirette per limitare i processi di degrado dei materiali costitutivi dei beni e assicurarne la conservazione, salvaguardandone il valore culturale. A tal fine, nel quadro di una programmazione coerente e coordinata della conservazione, il restauratore analizza i dati relativi ai materiali costitutivi, alla tecnica di esecuzione ed allo stato di conservazione dei beni e li interpreta; progetta e dirige, per la parte di competenza, gli interventi; esegue direttamente i trattamenti conservativi e di restauro; dirige e coordina gli altri operatori che svolgono attività complementari al restauro. Svolge attività di ricerca, sperimentazione e didattica nel campo della conservazione. (Art. 1 D.M. 26 maggio 2009, n. 86).
*Ricercatore universitario
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