di Alida Federico
Nell’ottica di elaborazione di politiche di recupero alla legalità e al mercato delle imprese confiscate, va annoverato anche il contributo di Antonio Purpura, Direttore del Dipartimento di Scienze Economiche Aziendali e Statistiche dell’Università di Palermo, intervenuto al convegno organizzato da Confindustria Sicilia il 21 febbraio sulla “Gestione dei beni sottratti alle mafie e Riforma dei mercati”. Presupposto di fondo dell’analisi realizzata è la convinzione che la relazione tra collocazione settoriale e territoriale delle imprese mafiose e gli obiettivi di ingresso condiziona sia la possibilità che le modalità di reinserimento dell’impresa nel circuito dell’economia legale. Così, partendo dai dati forniti dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata del 2012 e da quelli del Pon Sicurezza del 2013 pubblicati da Transcrime, e legandoli alle valutazioni dei motivi e degli scopi che spingono un’impresa mafiosa ad entrare in un determinato settore e in uno specifico territorio, Purpura ha indicato una possibile strada per un’azione di riqualificazione del mercato.
E’ proprio sui dati territoriali e settoriali che Purpura si è soffermato. Dati che mostrano che il maggior numero totale delle aziende confiscate è concentrato in Sicilia (623) e in Campania (347), ma c’è una presenza significativa pure in Lombardia (223). Mentre, però, nelle regioni meridionali la percentuale che pesa di più è rappresentata dalle imprese ancora in gestione (86,45% in Sicilia e 72,6% in Campania), in Lombardia, invece, è quella delle società ritornate ad operare nel mercato in piena autonomia (54,3%). Risultati che non sorprendono perché «a Milano il contesto è recettivo rispetto ai percorsi di risanamento delle imprese. In Sicilia, invece, è più difficile riportarle sul mercato»- ha osservato Purpura.
Soffermandosi sui dati relativi ai settori di attività, che collocano ai vertici quello delle costruzioni e del commercio (rispettivamente 27,9% e 27,6%), seguiti da alberghi e i ristoranti (10,1%) e dalle attività immobiliari e servizi imprese (8,2%), l’elemento che maggiormente incuriosisce è l’indice di «intensità di attrattività dei settori» costruito «rapportando le aziende confiscate al totale delle aziende per ogni 10.000 imprese registrate»- spiega Purpura. Secondo questo studio, i settori più appetibili dalle organizzazioni criminali sono l’industria dell’estrazione dei minerali, la sanità, le costruzioni, gli alberghi e i ristoranti. Ancora più interessante è l’indice sintetico di concentrazione settoriale (ISCS) delle aziende mafiose per settori e province, ottenuto dal rapporto tra il numero delle imprese confiscate in un settore sul totale delle imprese confiscate nella provincia. E’ lo stesso Purpura a fornire la chiave di lettura di questo indice: «Quando è uguale a 1 ci dice che la percentuale di imprese mafiose confiscate in quel settore è in linea con la presenza del settore in quel territorio». Se, invece, il valore è superiore a 1 «vuol dire che le aziende confiscate rappresentano una quota percentualmente molto più grande di quanto non sia presente quel settore in quel dato territorio». In base a tali dati, il settore agricolo è uno dei più puliti (nelle diverse province prese in considerazione, da Nord a Sud, ha valori compresi tra 0 e 1), mentre quelli che presentano un ISCS allarmante sono il comparto estrattivo nelle province meridionali (Agrigento 56,6%, Cesena 47,7%), e quello degli alberghi e ristoranti al nord (Lecco 11,9%).
Tenuto conto dei dati territoriali e settoriali analizzati e considerato che in alcuni settori, quali quello delle costruzioni ovvero dell’estrazione di minerali, c’è un avviamento illegale fortissimo e uno legale basso, se non addirittura nullo, Purpura si chiede se conviene mantenere queste imprese sul mercato dato che «la ricostruzione del tangibile di quella impresa a valore legale è un’operazione costosissima, difficilissima e fortemente reversibile». Allora sarebbe meglio concentrare gli sforzi su quelle aziende che hanno un valore di avviamento illegale alto, ma al contempo un valore sempre di avviamento legale medio-alto che le rende più facilmente recuperabili (è il caso del settore della sanità piuttosto che della filiera del turismo). Per quelle che potremmo definire irredimibili, invece, la strada individuata da Purpura ipotizza l’uso le risorse provenienti «dalla vendita comunque obbligata in liquidazione» per la riqualificazione del personale.
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