TRAPANI – Parte da Confindustria Trapani il grido d’allarme per la nuova imposizione prevista nella finanziaria regionale che, all’art. 12, ha introdotto un nuovo e disastroso balzello sulle imprese che svolgono attività estrattiva. L’art. 12 introduce una doppia tassazione per le stesse finalità. Infatti, ai fini del recupero ambientale tutte le autorizzazioni per l’esercizio di attività estrattive in Sicilia sono soggette, già a far data dall’approvazione delle legge n.127/80, al versamento di specifici oneri a favore delle Regione Siciliana che, invece, mai, almeno nel bacino estrattivo di Custonaci, ha speso un centesimo di queste somme per procedere al recupero delle aree interessate all’estrazione.
Gran parte della nostra Provincia, nell’area collocata tra Custonaci, Erice e Valderice, vive grazie all’attività di cave e segherie. Un comparto che a poco a poco stava cercando di rialzare la testa e di combattere la crisi, grazie all’elevata qualità dei materiali lapidei estratti e alla capacità di esportare il prodotto in tutto il mondo.
Al grido d’allarme degli imprenditori si sono uniti anche i rappresentanti delle tre organizzazioni sindacali di categoria, Fillea CGIL, Filca CISL e Feneal UIL, che, insieme a Confindustria Trapani, hanno sottoscritto un documento comune per stigmatizzare il danno cui si rischia di andare incontro se la norma non venisse congelata, investendo della problematica il Presidente della Regione, il Presidente dell’ARS, gli Assessori Regionali all’Energia, alle Attività Produttive e al Territorio e Ambiente e tutti i Deputati Regionali eletti in Provincia di Trapani.
“Il comparto marmifero del Bacino di Custonaci – dichiara Vito Pellegrino, Presidente di Confindustria Marmo Trapani – rappresenta ben l’85% della produzione isolana ed oltre il 15% di quella nazionale, una occupazione di circa 3.000 unità oltre un notevole indotto con un fatturato stimato in circa 100 milioni di euro di cui più del 90% destinato all’export.
Gli operatori trapanesi vantano una notevole e consolidata tradizione, dispongono di impianti di estrazione e lavorazione all’avanguardia e competono in un mondo globalizzato spesso con paesi dove le regole, specie in materia ambientale e di sicurezza ed i diritti dei lavoratori sono pressoché inesistenti determinando condizioni di concorrenza sleale sempre più difficile da colmare con la qualità del prodotto e della sua lavorazione. Situazione, peraltro, aggravata dalla carenza e/o assenza di adeguate infrastrutture, nonché dai maggiori costi per viabilità, trasporti, energia, etc, che ci penalizzano rispetto alle altre aree produttive del Paese.
L’introduzione, ora, del canone sul materiale estratto interviene quindi sostanzialmente a modificare precari e marginali equilibri su cui si fonda, specie nell’attuale momento congiunturale, la economicità di un ciclo produttivo sottoposto a forti stress di competizione mondiale”.
Per effetto di questa norma si stima, ora, che il costo per gli oneri di recupero lieviterà di 12/13 volte gravando sui costi di una cava media in ragione del 5% del suo fatturato ed erodendo così in maniera sostanziale gli utili d’impresa con il rischio concreto che molte attività vengano dismesse.
“In definitiva – conclude Vito Pellegrino – con il documento sottoscritto congiuntamente con le organizzazioni sindacali abbiamo chiesto che l’art.12 venga soppresso e che la materia sia esclusivamente disciplinata dalla precedente normativa e che al riguardo vengano adeguati ed attualizzati i valori degli oneri fissati per il recupero ambientale dalla tabella approvata con decreto dell’Assessore per l’Industria del 23 febbraio 1998”.