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Carlo Ramo: "Imprese, sistema arretrato su comunicazione e marketing"

Carlo Ramo
Carlo Ramo, fondatore e amministratore dell’agenzia Strategica

«E’ un asset fondamentale, può aiutare le imprese a crescere, a posizionarsi in maniera corretta sui mercati. Ma è trascurato, anzi assolutamente sottovalutato. L’assenza di strategie di marketing e di comunicazione, invece, è una delle cause del ritardo e dell’arretratezza del nostro sistema produttivo». L’analisi è di Carlo Ramo, 61 anni compiuti a giugno, gran parte dei quali dedicati alle sue due grandi passioni: il lavoro che si è concretizzato nell’agenzia di comunicazione Strategica e la nautica. E oggi più che in passato si confronta con un sistema, quello imprenditoriale siciliano, che guarda alla comunicazione e al marketing come una commodity. Mentre tale non è, anzi tutt’altro. «C’è chi è convinto di potere fare da sé – di Carlo – che bastino un paio di fotografie scattate con il telefonino, una serie di frasi scritte dalla segretaria e il gioco è fatto».

Siamo davvero a questo punto?

Sì, a volte anche peggio. C’è un’assoluta mancanza di conoscenza di ciò che la comunicazione può fare per l’impresa. Parliamo di una merce che non è tangibile, non è un oggetto che si tocca e dunque non è percepita, non gli si dà il valore che merita. E assistiamo a situazioni che, con un eufemismo, potremmo definire grottesche.

Per esempio?

Mi è capitato di vedere, partecipando a fiere importanti nel settore dell’agroalimentare, prodotti di imprese del centro o del Nord del Paese ben presentati, con cataloghi studiati e ben fatti che avevano alla base uno studio, un ragionamento, un lavoro di ricerca sul target, foto bellissime. E, sempre nella stessa fiera, ho visto depliant fatti dalle nostre imprese francamente impresentabili: foto scarse, testi privi di logica. Del resto cosa ci si può aspettare: una bella foto, fatta da un professionista ha un costo. Ma se provi a fare questo ragionamento con un imprenditore siciliano quello ti risponde che la foto la può fare lui con il suo smartphone. Gli imprenditori pensano che la campagna pubblicitaria si possa fare in casa. I risultati, poi, in termini di vendite si vedono.

Avete provato a far capire il valore della comunicazione? A educare gli imprenditori?

E certo che ci abbiamo provato. Eccome se lo abbiamo fatto: molti non chiedono nemmeno un preventivo. Non solo. Ti racconto cosa abbiamo provato a fare.

Prego.

Abbiamo provato a chiamare le aziende per fissare un appuntamento, per parlare, spiegare quello che facciamo ma su cento telefonate solo tre ci hanno risposto: risentiamoci. Ma alle successive telefonate non si sono fatti trovare.

Magari erano piccole imprese, con bilanci asfittici, alle prese con la crisi.

Può essere. Ma la comunicazione è anticiclica, è una leva importantissima, che può aiutare anche una Pmi a crescere ma gli imprenditori non danno il giusto valore a questa leva. C’è in giro molta improvvisazione e spreco di denaro. Il marketing è vendita ma qui tutti vogliono vendere ma non si curano del marketing. Le aziende, in alcuni casi anche di una certa dimensione, non hanno un responsabile marketing e comunicazione. Se ne occupa l’amministratore o nella peggiore delle ipotesi il figlio, magari appena entrato in azienda cui viene affidato un settore in cui, secondo i cosiddetti adulti, non può fare danni. E così magari il figlio ci dà un appuntamento, ci ascolta entusiasta ma quando arriviamo al punto di definire il budget fa spallucce e ci risponde: ma io non decido sul budget, bisogna parlare con papà. E non se ne fa nulla. Paradossalmente i politici sono più avanti degli imprenditori: hanno capito il valore e la forza del marketing e della comunicazione e investono in questo ambito.

Tempo perso. Ma le istituzioni almeno danno il buon esempio?

Assolutamente no. Noi impieghiamo l’80% del tempo a decodificare i bandi, a interpretare capitolati confusi e spesso inadeguati. E poi, quando siamo riusciti a capire qualcosa capita pure che vengano revocati in autotutela per chissà quale ragione. C’è poi un appiattimento sull’offerta economica che in questi casi è sì importante ma non fondamentale. La domanda che ci si dovrebbe fare è diversa: quali risultati voglio ottenere con questa campagna di comunicazione? Qual è il mio target? Ma questa domanda non se la pone nessuno: si fa un mero calcolo ragionieristico. Ma non c’è solo questo.

Cos’altro?

C’è alla base di tutto un retaggio culturale, un atteggiamento siciliano, antropologico.

Cioè?

Noi facciamo comunicazione nella terra dell’omertà e quindi del silenzio. Questa base culturale si traduce nell’azione quotidiana. E poi siamo nella terra in cui si diceva e si dice “Se vuoi stare bene lamentati”. Che motivo c’è di comunicare cose belle e buone? Bisogna cambiare paradigma, lottando se possibile con noi stessi, perché cambiato approccio si può cambiare questa terra e si può fare impresa in maniera moderna.

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