Dopo il disastro causato dal Medicane “Apollo”, Catania trema pensando a cosa potrà accadere ancora in un immediato futuro in caso di maltempo eccezionale. Il pensiero va alle tre vittime dei giorni scorsi ma anche a che fine abbiano fatto il canale di gronda e il collettore B, che forse avrebbero potuto arginare parecchio i danni subiti. Se infatti è innegabile il ruolo centrale di un clima che cambia velocemente, dall’altro è necessario capire perché Catania non sia in grado di affrontare piogge abbondanti, prestando il suo territorio allo sfacelo e al rischio sicurezza.
Non a caso è “Catania vulnerabile- La città dei dissesti, tra rischio idrogeologico e fragilità sociale” il titolo dell’iniziativa organizzata dalla Fillea Cgil e dalla Cgil di Catania che si è tenuta stamattina nel “Salone Russo” di via Crociferi.
Un’occasione pubblica importante che ha visto la partecipazione del docente di Idraulica del Dipartimento di Ingegneria civile e Architettura dell’Università di Catania, Enrico Foti, dell’ingegnere progettista del collettore fluviale B, Aldo Scaccianoce, e del professore associato di Tecnica e Pianificazione Urbanistica dell’Università di Catania, Filippo Gravagno; tutti “addetti ai lavori” di alto profilo che hanno trattato il tema molto chiaramente sia da un punto di vista tecnico, senza mai cadere nella trappola dei tecnicismi incomprensibili, sia da un punto di vista civico, convinti che anche i cittadini debbano conoscere molti aspetti della materia per poter rivendicare la giusta attenzione e per potersi difendere.
Ha chiuso i lavori Graziano Gorla, segretario nazionale della Fillea Cgil che ha segnalato “la necessità di chiedere alle persone di partecipare al cambiamento necessario che oggi auspichiamo. E questo è compito del sindacato; non possiamo delegarlo a nessun altro”
All’incontro coordinato dal giornalista Guglielmo Troina, hanno partecipato il segretario generale della Fillea, Vincenzo Cubito, che ha aperto i lavori con una relazione e il segretario generale della Camera del Lavoro, Carmelo De Caudo, che ha introdotto l’iniziativa. Quest’ultimo ha sottolineato la necessità di “inaugurare un nuovo percorso. Siamo qui per capire di quali interventi oggi Catania ha bisogno alla luce dei disastri verificatisi in queste ore. Siamo qui per capire quali progetti seguire, quale sia lo stato dell’arte – sia in senso operativo che burocratico- del canale di gronda e del collettore”.
De Caudo ha lanciato le tre “domande chiave” in conseguenza dei danni subiti – sia economici che in termini di perdita di vite umane- nei giorni scorsi.
“La prima è: questi danni si potevano evitarsi se fossimo stati dotati del canale di gronda la cui progettazione appartiene alla memoria collettiva quasi trentennale di questa città? La seconda è: perché opere così importanti, che hanno richiesto lunghe progettazioni e dunque grandi investimenti pubblici (si parla di circa 58 milioni di euro), ad oggi non sono state realizzate?
E infine, – ha concluso De Caudo, che ha invocato la necessità che le istituzioni locali condividano subito percorsi e decisioni con i cittadini- perché i governi della città che si sono succeduti, compreso quello attuale, hanno trattato un’opera come il canale di gronda alla stregua di molte altre, senza sentire la necessità di programmare interventi, correzioni, confronti, in modo da informare la cittadinanza dello stato dell’arte? Senza la necessità di una visione?“
Il segretario della Fillea, Cubito, ha segnalato i dati pubblicati dall’Ispra, l’agenzia ministeriale che si occupa delle statistiche ambientali, che ha fotografato il “caso Sicilia” nel suo rapporto annuale.
L’anno scorso in Sicilia sono stati occupati 400 nuovi ettari di superficie, più di uno al giorno, con un incremento che in percentuale è superiore alla media nazionale dando vita un’eccessiva cementificazione. E a contribuire all’impermeabilizzazione dell’Isola ha contribuito soprattutto la provincia di Catania, “dove nel corso del 2020 sono stati consumati ben 106 ettari di territorio – ha ricordato il segretario della Fillea- un quarto del totale isolano, addirittura più del doppio del consumo di suolo registrato a Palermo (+48,9 ettari) e oltre il triplo di quanto “cementificato” nel messinese (+28,3 ettari). Una crescita esponenziale che fa salire a oltre 28 mila gli ettari consumati ad oggi in provincia, quanto quelli del palermitano che però ha un’estensione ben superiore (3.574 km² contro 4.992). L’incremento più ampio si registra proprio a Catania che da sola ha registrato lo scorso anno un consumo di suolo pari a 34 ettari (quasi sei volte la Villa Bellini), seguita da Mineo (+9 ettari), Paternò (+8,2), Castiglione di Sicilia (+7,5), Randazzo (+5,3). Solo in questi 5 comuni si concentra oltre la metà del suolo consumato sotto il Vulcano”.
Ma cosa hanno detto gli esperti invitati all’incontro? Per il docente Foti il problema allagamenti è il più rilevante su scala mondiale per frequenza di accadimenti che colpiscono le persone. Le cause vanno ricercate sia negli impatti antropici, con la concentrazione di gas serra nell’ atmosfera, sia nei mutamenti climatici.
Il rischio alluvione è dunque una delle conseguenze dell’urbanizzazionr sul ciclo idrologico. Le soluzioni? “Nelle “misure istituzionali”, ossia nelle politiche assicurative, nelle incentivazioni delle strutture resilienti, nel limitare lo sviluppo in aree a limitato rischio, nella ricollocazione – ha sottolineato- ma anche nelle “misure di preparazione e prevenzione”, ossia nel miglioramento del sistema di monitoraggio e del sistema di previsione, nello sviluppo di una rete di allerta; e infine nelle “misure strutturali”, ossia la realizzazione di opere che favoriscano i deflussi il più possibile simili a quelle della pre urbanizzazione, l’adattamento delle strutture esistenti, gli interventi anti fragili. Centrale dovrebbe però essere anche il ruolo della cittadinanza che dovrebbe essere istruita per evitare comportamenti scorretti, come uscire fuori di casa durante le precipitazioni o credersi al sicuro in auto”.
L’ingegnere Aldo Scaccianoce ha riassunto la storia del collettore dagli anni ‘80 ad oggi, in un rincorrersi di finanziamenti presi e perduti, di lavori frenati e poi recuperati, di centri commerciali realizzati nell’hinterland che hanno sottratto suolo prezioso ad una corretta circolazione dei corsi d’acqua.
“Quando parliamo di sistemazione generale non possiamo riferirci solo a Catania ma all’intera area metropolitana”, ha aggiunto.
Il docente Gravagno ha poi chiuso il ciclo di interventi tecnici spiegando che “abbiamo trasformato l’ambiente per adeguarlo alle nostre richieste.
Si sono costruite infrastrutture senza preoccuparsi di cosa succede a valle.
Ecco perché abbiamo bisogno di un “Piano di ricordino ecologico del territorio”, ossia di un piano che adatti quanto già realizzato ai bisogni dell’ambiente”.
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