ACIREALE – «Cultura e turismo sono un binomio inscindibile». L’amministratore delegato del Credito Siciliano Saverio Continella lo ripete con calma, più volte, come a voler ribadire la forza di un concetto che dovrebbe essere banale, quasi scontato nel concreto agire quotidiano di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica. Ma non lo è. «Cultura e turismo è un binomio inscindibile, ma ignorato dai siciliani» dice ancora Continella che qualche settimana fa ha ospitato nella sede centrale della banca ad Acireale un convegno dedicato proprio a turismo e cultura organizzato dalla sezione siciliana dei Cavalieri del Lavoro guidata da Francesco Rosario Averna.
Mi sembra un giudizio abbastanza severo.
Vuole una dimostrazione? Il D.L. 83/2014 “Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo” ha introdotto un credito d’imposta per le erogazioni liberali a sostegno della cultura e dello spettacolo, il c.d. Art bonus. La legge di Stabilità 2016 ha disposto che l’Art bonus, inizialmente previsto solo per un triennio, diventi una misura permanente. L’iniziativa promossa con il motto “Mecenati di oggi per l’Italia di domani” consente un credito di imposta, pari al 65% dell’importo donato, a chi effettua erogazioni liberali a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano. Dato che tali erogazioni possono essere elargite esclusivamente in favore del patrimonio di proprietà pubblica, si tratta di una grande opportunità per le Regioni ed i Comuni di coinvolgere cittadini e imprese nel cofinanziamento di progetti di restauro e manutenzione del patrimonio culturale locale. Bene, consultando il sito che raccoglie le iniziative finanziabili in corso si rileva che su 600 iniziative (il Teatro alla Scala di Milano, il Museo Egizio ed il Teatro Regio di Torino, l’Arena di Verona) solo 3 riguardano il patrimonio culturale siciliano; solo lo 0,5% … peggio di noi solo Molise (1), Valle d’Aosta (1) e Basilicata (0). Si tratta del Teatro Naselli di Comiso, della Fondazione Teatro Massimo di Palermo e del Giardino della Kolymbethra di Agrigento.
Siamo messi veramente male.
Stando a questi dati non si può che condividere l’affermazione “La Sicilia è un tesoro moribondo” che solo qualche mese fa hanno urlato un gruppo di siciliani che fanno cultura, vivono di cultura e fanno vivere di cultura. Un appello al Ministro Franceschini, firmato da Andrea Camilleri e Pietrangelo Buttafuoco, che ha raccolto l’adesione di numerosi operatori turistici e culturali della Sicilia, contro la chiusura dei principali siti di interesse culturale e turistico durante le recenti festività pasquali. Continuiamo a non capire, per dirla con Antonio Preiti (economista del Censis), che “…i musei sono praterie da riempire, non riserve da preservare”.
Non è che per caso vi siete iscritti al partito dei gufi. A sentire i sindaci delle grandi città siciliane siamo in pieno boom turistico.
Infatti, nonostante il nostro atteggiamento sia contrario ad ogni logica economica – “gli operatori turistici lavorano quando gli altri sono in vacanza; una cosa in sé ovvia ma non in Sicilia” – negli ultimi due anni il turismo in Sicilia ha registrato un aumento costante di presenze: +8% nel 2014 e +11% nel 2015 con punte di rilievo nel Sud-Est (quest’ultimo successo merito anche della serie tv del commissario Montalbano, che ha reso celebri nel mondo i tesori del barocco siciliano). Sarà la Sicilia, meta di mare ma anche di cultura, la regina dell’estate 2016. Secondo eDreams, agenzia di viaggi online leader in Europa, al primo posto Catania (come nel 2015), seguita da Ibiza, Palermo, Barcellona, Londra, Cagliari, Olbia, Parigi, Amsterdam e Trapani.
Evidentemente, però, non basta. Oppure ho capito male?
No, no. Ha capito benissimo. Tale situazione non è frutto di un’azione di sviluppo del settore, ma in gran parte di una serie di eventi fortuiti e non strutturali; guerre e terrorismo hanno infatti ridisegnato in pochi mesi la mappa del turismo globale, reindirizzando i flussi verso mete più “tranquille”. Si tratta quindi di eventi che – ci auguriamo tutti – non sono destinati a durare.
Voi cosa suggerite?
La Sicilia è dotata di risorse senza eguali che costituiscono un vantaggio competitivo. Non possiamo però pensare di vivere di “rendita”. Le cose da fare sono tante, ed a mio avviso si possono sintetizzare in due principali direttrici.
Parliamone.
La prima riguarda l’indispensabile maggior coordinamento tra iniziative nazionali e iniziative locali al fine di proporre un’offerta turistica complessiva, articolata territorialmente, che valorizzi le singole specificità locali, senza contrapporle l’una all’altra. Quindi una strategia unitaria, che significa impiego razionale e coordinato delle risorse, in un contesto di risorse limitate e concorrenza agguerrita. L’urgenza di operare in questa direzione è resa esemplificativamente evidente da quanto accaduto solo 3-4 giorni fa. Nell’ambito dei programmi dei teatri d’estate il 21 giugno è stato presentato il cartellone degli Spettacoli del “Calatafimi Segesta Festival – Dionisiache 2016”; 40 appuntamenti che dal 1° luglio al 4 settembre che si terranno tra il Teatro Antico di Segesta e la città di Calatafimi. Il giorno dopo, a soli 30 Km di distanza, è stata presentata la XXXV edizione del festival delle Orestiadi a Gibellina che inizieranno il 16 luglio e si concluderanno tre settimane dopo (il 6 agosto). Due iniziative nella provincia di Trapani – peraltro concomitanti anche temporalmente – promosse come se si svolgessero in luoghi e tempi lontani tra loro.
Andiamo avanti.
La seconda attiene l’industria turistica. E’ necessario che gli operatori impostino strategie di medio-lungo periodo, guardando oltre il ritorno immediato, rendendo il menù offerto al turista sempre più accattivante, in termini di flessibilità, personalizzazione e progettazione dei prodotti. In questo Internet offre enormi potenzialità, perché consente al turista di decidere meglio e più in fretta, di conoscere a fondo le peculiarità locali, di condividere con altri le proprie esperienze. Quindi un’offerta moderna, che sappia confezionare “prodotti turistici” che prendano in considerazione l’esperienza complessiva del turista, dal momento in cui inizia la prenotazione al momento in cui torna a casa e viene ricontattato in un’ottica di fidelizzazione. In tale prospettiva le aggregazioni in rete possono costituire – come avviene ormai in larga parte del sistema produttivo – uno strumento importante per migliorare la competitività, superando la frammentazione che caratterizza il settore. Vorrei fare una puntualizzazione.
Prego.
Si diceva che gli operatori turistici devono impostare strategie di medio-lungo periodo. Scorrendo i dati del Ministero dell’Interno, si scopre però che non sono poche le strutture alberghiere che hanno deciso di cambiare il loro core business: da hotel a centri d’accoglienza. In Sicilia – solo lo scorso anno – sono state almeno trenta le strutture (sparse per tutta la Sicilia, con un picco a Trapani) che hanno sostituito i turisti con i migranti. Un fenomeno che, se in una logica di breve consente di avere flussi certi (anche se magari non puntuali) dalle Prefetture per sostenere la gestione corrente ed i debiti, in una logica di medio periodo non rappresenta certo una risposta strutturale, quanto piuttosto un’illusione da evitare.
Fin qui il ragionamento, che possiamo condividere. Ma proviamo a disegnare una proposta più concreta.
Io farei una distinzione tra “Cosa abbiamo” e “Cosa serve” .
E cosa abbiamo?
Abbiamo l’unicità dell’offerta; le capacità e le idee imprenditoriali: ne è un esempio il Radicepura Garden Festival 2017, che si terrà dal 21 aprile al 21 ottobre 2017 nato dal sogno di un uomo, Venerando Faro, che qui ha esaltato la sua esperienza storica nel campo del florovivaismo internazionale e che riprende, adattandole al contesto, esperienze di successo quali il Chelsea e l’Hampton Court Flower Show. Nonostante la congiuntura economica non favorevole, ci sono anche le risorse economiche. Il Programma Operativo Nazionale (PON) “Cultura e Sviluppo” 2014-2020, mette a disposizione di 5 regioni italiane (tra cui la Sicilia) oltre 490 milioni di euro1 per la valorizzazione del territorio attraverso interventi di conservazione del patrimonio culturale, di potenziamento del sistema dei servizi turistici e di sostegno alla filiera imprenditoriale collegata al settore. In proposito però è importante ribadire la necessità di passare da dalla logica del trasferimento a quella dell’investimento, fatto anche di project financing, crowdfunding e fundraising. La vicinanza del sistema bancario alle imprese del settore turistico è confermata all’offerta di strumenti studiati per andare incontro alle esigenze, peculiarità e stagionalità del settore. Nell’ambito degli strumenti agevolativi, in particolare, gli istituti di credito fungono da cerniera tra le amministrazioni e il mondo dell’impresa, supportandole nella comprensione e nell’utilizzo di normative non sempre accessibili. Complessivamente si attestano a 1,9 miliardi di euro, a dicembre 2015, i finanziamenti bancari al settore del turismo in Sicilia (di questi il Credito Siciliano rappresenta circa il 10%); una quota importante degli impieghi siciliani (5,5%) che conferma il turismo come uno strumento di sviluppo, una risorsa anticiclica, con una capacità moltiplicativa straordinaria.
E invece cosa serve?
Per promuovere il turismo culturale siciliano la parole d’ordine dovrebbero essere: spettacolarizzare, brandizzare, celebrare se preferite; proprio come fanno a New York o Los Angeles, dove non avendo nulla di vagamente legato alla Storia si sono inventati un modo per imporre il Presente. Ad esempio brandizzare il marchio ETNA che non significa solo parlare del Vulcano e/o dell’eccellenza del suo vino; significa promuovere un territorio che va dal mare ai 3.000 metri e da Taormina a Catania. Questo è il territorio dell’Etna, con i suoi 950 mila abitanti, le sue 300 strutture ricettive2, il suo aeroporto (che deve essere sottratto alle logiche di potere e deve essere quello per cui è vocato, cioè un volano per questo territorio), i suoi porti, i suoi 10.000 ettari di agricoltura di qualità, le sue aziende (hit eco e non), i suoi giovani. Imprenditori locali (nel senso di “vocati al territorio”) pronti ad investire in un orizzonte di medio-lungo termine e non con una logica “mordi e fuggi”. Cambiare atteggiamento nei confronti di questo settore. Per una serie di motivi, infatti, il turismo – nonostante produca circa il 10% del PIL nazionale – è sempre stato considerato un settore di serie B e non un asset su cui puntare per lo sviluppo del Paese. Tant’è vero che: nei vari piani per la crescita del Mezzogiorno varati dai Governi il turismo non ha mai avuto un ruolo rilevante; si manda alla scuola alberghiera il figlio che non ha tanta voglia di studiare, si offrono posizioni amministrative legate al turismo ai politici che non si sa dove piazzare e l’industria turistica è vista dagli investitori con prudenza. Se vogliamo veramente sfruttare questo vantaggio competitivo “naturale” dobbiamo prendere il turismo sul serio, come accade negli altri paesi moderni, e metterlo in cima all’Agenda del fare.