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Corruzione, Cantone boccia alcune norme del codice antimafia

Codice Antimafia e corruzione: lo strumento della confisca e le politiche di contrasto alla criminalità da profitto, alla luce delle misure introdotte dal nuovo codice.
Sono state le tematiche al centro del convegno organizzato dalla Procura della Repubblica di Tivoli e dall’Ordine dei Commercialisti e degli Esperti Contabili che si è svolto a Tivoli.
Al dibattito hanno partecipato, tra gli altri, Cafiero De Raho, Procuratore nazionale Antimafia, Raffaele Cantone, Presidente dell’Autorità Anticorruzione, don Tonino Palmese, Presidente della Fondazione Polis, Gian Maria Fara, presidente Eurispes, Giovanni Salvi, Procuratore generale di Roma, Franco Roberti, già Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Gianluca Tartaro, Presidente ODCEC di Tivoli.

“Le recenti modifiche al d.lgs. 159/2011 (cd. Codice Antimafia) hanno alimentato il dibattito su come prevenire e contrastare la criminalità da profitto, una forma di criminalità in cui un ruolo egemone è rappresentato da tre settori che costituiscono una delle principali cause d’illegalità, di mancata crescita del paese e di inquinamento dell’economia legale: mafie, corruzione ed evasione fiscale/criminalità economica.
Un’efficace azione verso queste forme di criminalità richiede strumenti che consentano di sottrarre gli smisurati capitali illecitamente accumulati dimostrando che il delitto non paga”, ha spiegato il padrone di casa, il Procuratore della Repubblica di Tivoli Francesco Menditto.
Il Procuratore ha detto: “C’è stato negli ultimi anni un passaggio epocale che consente di intervenire in modo diverso di fronte alla criminalità da profitto. Se si commette un reato o si sta per commettere è bene contrastarlo o prevenirlo colpendo il patrimonio accumulato illecitamente. Quando si parla di misure di prevenzione intendiamo la confisca di prevenzione ovvero la confisca senza condanna, che interviene quando ci sono gravi indizi, quando una persona è ritenuta pericolosa, e sulla base di elementi di fatto e non di sospetti; misura applicata davanti alla difesa e decisa da tre giudici”.

Perplessità riguardo alla nuove norme del Codice Antimafia sono state espresse dal Raffaele Cantone, Presidente dell’Autorità Anticorruzione. “Il tema del rapporto tra mafia e corruzione, esploso dopo la vicenda di “mafia capitale”, è in realtà un tema antico: chi si occupa di criminalità organizzata sa bene che le mafie hanno da sempre utilizzato la corruzione per strutturare il rapporto di sudditanza sul territorio; rapporto che si consolida non solo con le intimidazioni ma anche con il consenso. In particolare, quando le mafie esportano le loro attività fuori dai territori di origine, preferiscono entrare in rapporto con il mondo della amministrazione attraverso lo strumento della corruzione”, ha dichiarato.
“Le indagini evidenziano come il fenomeno corruttivo sia quasi sistemico nel nostro Paese, eppure non si può assolutamente ritenere che tutta la corruzione sia di tipo mafiosa. I due fenomeni restano distinti anche se la corruzione resta uno strumento di penetrazione della criminalità organizzata di tipo mafioso. E’ evidente che lottare contro la corruzione sia uno strumento fondamentale per contrastare anche la mafia. Non nascondo però alcune perplessità su alcuni aspetti del nuovo codice: corruzione e mafia restano fenomeni diversi. La mafia è un modus vivendi, uno strumento di arricchimento che coincide con uno stile di vita e si arricchisce con l’attività illecita, l’imprenditore che mette in campo attività corruttive in genere ha anche attività lecite accanto a quelle illecite. Per questo, la scelta di esportare tutti i metodi della lotta alla mafia, alla lotta alla corruzione, come previsto dal nuovo codice, non mi trova d’accordo. Lo trovo poco utile, non c’era bisogno di nuove norme: anche prima delle modifica al codice antimafia infatti si potevano utilizzare misure di prevenzione alla corruzione. Esportare le misure del sistema di prevenzione ai reati non mafiosi rischia di minare l’intero impianto dell’istituto che deve invece rispondere ad una logica di “eccezionalità”. A mio parere, la nuova norma è pericolosa e rischia di essere un cavallo di troia”, ha concluso.

Cafiero de Raho, Procuratore nazionale Antimafia, è d’accordo sul fatto che “le mafie non si radicalizzano più mediante l’intimidazione e la violenza bensì con il denaro, con la corruzione verso i pubblici uffici e con l’invito a partecipare con una ricca fetta di mercato illegale agli imprenditori. Ma rispetto all’opinione sulle nuove norme preventive “da collocare negli strumenti di contrasto”, il Procuratore Generale è su una posizione diversa da quella di Cantone.
“La corruzione è una delle modalità con cui le mafie intervengono e acquisiscono vantaggi: lo strumento della prevenzione è una ulteriore possibilità per sconfiggere l’illegalità e contrastarla”.
Il Procuratore lancia poi alcune proposte sul tema della confisca delle imprese:
“Le imprese sequestrate per restare sul mercato devono essere protette dalle forze dell’ordine, attraverso un monitoraggio: lo Stato deve intervenire per impedire che la mafia condizioni la vita dell’impresa, anche dopo la misura del sequestro”. Inoltre “è necessario rendere possibile il comodato delle imprese in favore delle cooperative dei dipendenti: bisogna evitare che si dica “la mafia dà lavoro e lo stato ce lo toglie”. Non possiamo consentire che l’impresa chiuda e i dipendenti rimangano per strada.

Interviene sul tema della corruzione il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, che spariglia: “Che il nostro Paese sia uno dei paesi più corrotti al mondo ho fortissimi dubbi. La vulgata parte dal dato reso pubblico da alcune agenzie internazionali secondo il quale in Italia si produrrebbe corruzione per 60 miliardi di euro. Mi permetto di lanciare una provocazione, facendo qualche rapido calcolo. Se la corruzione consiste in 60 miliardi, vuol dire che i 60 milioni di italiani producono una corruzione per mille euro ciascuno, neonati compresi; se applichiamo il dato al sistema dei 5 milioni di imprese, il 90% delle quali sono medie e piccole, ogni impresa produrrebbe 12mila euro di corruzione l’anno; se poi applicassimo il dato ai 3 milioni di dipendenti della pubblica amministrazione, dovremmo arrivare alla conclusione che tutti sono corrotti o producono corruzione per almeno 20mila euro l’anno; se applichiamo il dato dei 60 miliardi ai 300mila dipendenti della pubblica amministrazione che hanno potere di firma, arriveremo ad un calcolo di 200mila euro ciascuno. Se proiettiamo il dato a livello territoriale, le nostre 20 regioni produrrebbero 3 miliardi ciascuna di corruzione, le 100 province 660 milioni di euro, i gli comuni 8000, 7,5 milioni di corruzione l’anno.
Fara spiega ancora: “Dove non arriva la scienza, soccorre il buon senso: si può ragionevolmente capire che il dato non sta né in cielo né in terra. Il dato di partenza deriva dall’utilizzo di indicatori di carattere soggettivo e percettivo, applicati da grandi agenzie internazionali che producono risultati scarsamente attendibili. Paradossalmente più si combatte la corruzione e più la si rende percepibile, più si perseguono i fenomeni sul piano della prevenzione e della repressione e più il fenomeno viene percepito dalla collettività. Occorre dunque lavorare e ragionare per mettere a punto sistemi di rilevazione che abbiamo caratteristiche di maggiore scientificità, che abbiano sì caratteristiche soggettive ma che puntino a informazioni e dati più oggettivi.

Franco Roberti, già Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, sostiene che “se si vogliono combattere le mafie e i reati che alimentano le mafie dobbiamo usare gli stessi strumenti che utilizziamo per le mafie”. E aggiunge: “Non condivido la posizione di Cantone: non è vero che con la nuova norma di annacqua l’efficacia degli strumenti antimafia. Serve l’azione preventiva giudiziaria e quella repressiva penale”.

Il Procuratore generale di Roma, Giovanni Salvi, commenta: “Va bene discutere di allargamento e restringimento dell’area delle misure di prevenzione giudiziaria, ma bisogna puntare alla legalità quotidiana, perché solo così si contrasta il clima di sfiducia e cinismo che consente alla criminalità di infiltrarsi. Le misure di prevenzione devono rimanere nel loro ambito, centrato sulla criminalità organizzata, e devono essere affiancate alla gestione della giustizia quotidiana”.

Al convegno è intervenuto anche il presidente della Regione Nicola Zingaretti, che ha annunciato l’uscita del Rapporto “Le mafie nel Lazio”.
“Ridurre drasticamente i centri di costo e le centrali appaltanti che spesso costituiscono il brodo opaco dentro le quali le mafie di insinuano. Creare una nuova sintesi tra autonomia e collaborazione tra corpi diversi dello stato, mobilitare dal punto di vista civile e culturale di tutti i livelli della società, e sensibilizzare sul tema della confisca e riconsegna ai cittadini dei beni confiscati alle mafie: queste le tre linee conduttrici su cui si è mossa e continuerà a muoversi la Regione Lazio”, ha spiegato Zingaretti.

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