Cous Cous Fest San Vito Lo Capo, polemiche per il cous cous. E’ fatto a …Ferrara. Polemiche a San Vito Lo Capo, dove è in corso l’edizione 2015 del Cous Cous Fest (qui la manifestazione con il programma completo). Le polemiche nascono dal fatto che il cous cous distribuito e “degustato” San Vito Lo Capo è in realtà prodotto a …Ferrara. Lo racconta un articolo de La Stampa, che riprende la denuncia di una ristoratrice di San Vito. Il Cous Cous Fest di San Vito lo Capo, che si è aperto ieri, è arrivato alla diciottesima edizione. Quest’anno la kermesse sfodera, tra gli altri, concerti di Vinicio Capossela, Elio e Le Storie Tese, showcooking e gare tra chef sia nazionali che internazionali
«Che cosa c’entra un cous cous industriale prodotto a Ferrara, in Emilia Romagna, con San Vito Lo Capo e la tradizione enogastronomica siciliana? È come se a Ferrara il Festival della Salama da sugo venisse sponsorizzato da una Sicilsalumi di Roccapalumba, che vende nei supermercati prodotti industriali e pretende di venderli anche al festival»: a mettere sotto accusa il Cous Cous Fest di San Vito Lo Capo è Marilù Terrasi, ristoratrice del Pocho di San Vito. A questa specialità ha dedicato anni di ricerche ed è fiera di essere «una che “incoccia” il cous cous a mano».
Per i profani occorre qualche precisazione: il cous cous, piatto della tradizione magrebina portato nella Sicilia Occidentale ai tempi della dominazione araba, nel Trapanese si fa con una semola cruda di grano duro cui viene aggiunta acqua nel rituale della «incocciatura», ossia della creazione di «cocci», minuscole palline sul palmo delle mani. Dopo la cottura al vapore in un apposito contenitore viene imbibito con una zuppa e rimane a “riposare” per un periodo che può andare da mezz’ora a due ore. A questo punto si aggiungono gli ingredienti della ricetta finale: la tradizione trapanese lo vuole «alla ghiotta» con il pesce, ma si fa anche con la carne (i Tuareg usavano il montone) o con le verdure e ne esiste una versione dolce con la cannella e l’uvetta. Il cous cous industriale è “incocciato” a macchina e sovente precotto: si mette in acqua come la farina della polenta ed è pronto per essere condito molto prima.
Il festival di San Vito è arrivato alla diciottesima edizione e sfodera, tra gli altri, concerti di Vinicio Capossela, Elio e Le Storie Tese, showcooking e gare tra chef sia nazionali che internazionali. «Ma in tutto questo – si chiede ancora la Terrasi – dove è finito il cous cous “incocciato” a mano, che pure dovrebbe essere il festeggiato? Dove sono finiti i produttori che coltivando grani antichi e lavorandoli, faticosamente ne continuano in Sicilia la tradizione?».
Tra questi produttori c’è Filippo Drago dei Molini del Ponte di Castelvetrano: «Vedere che al Festival trionfa il cous cous precotto fa venire i nervi. Non ho nulla contro i prodotti industriali, ma il pericolo è che passi il messaggio che il vero cous cous è precotto e non è quello crudo “incocciato” a mano con il grano che si produce in Sicilia. Non è una questione di numeri perché i cinque più importanti mulini del trapanese sarebbero senz’altro in grado di fornire gli organizzatori del festival. D’altronde già adesso riforniamo molti ristoratori della zona . Il festival è stato un grande biglietto da visita per il cous cous ma oggi dovrebbe fare chiarezza». Sulla stessa lunghezza d’onda è Rosario Gugliotta, presidente di Slow Food Sicilia: «Oggi il festival è diventata una grossa macchina che pensa solo a richiamare turisti. Anche la cucina viene spettacolarizzata attraverso gli showcooking invece di far conoscere e valorizzare i prodotti locali e i grani antichi, per la cui difesa ci battiamo da sempre».
A presiedere la giuria della gara internazionale del Cous Cous Fest è quest’anno lo chef bistellato Claudio Sadler. «Le grandi manifestazioni – replica – non si possono organizzare senza gli sponsor. Ma per chi partecipa alla gara non vi è nessuna imposizione: chi vuole usa il cous cous incocciato a mano e chi vuol far prima quello precotto. Io lo incoccerò a mano per la mia ricetta che vuole unire sapori del Nord e sapori del Sud». Per il grande pubblico non solo della kermesse, sostiene però la Terrasi, «sarebbe opportuno creare un disciplinare del cous cous “incocciato” a mano cosi come ne esiste uno per la pizza napoletana».