Last updated on 6 marzo 2021
In Sicilia sei comuni su dieci non rispettano le norme sulla trasparenza e non rendono noto l’Indicatore di tempestività dei pagamenti (Itp), ossia l’indice ufficiale e, soprattutto, omogeneo che gli enti locali sono obbligati a pubblicare nella sezione “Amministrazione trasparente”. In particolare, il 59 per cento dei comuni, ossia 232 su 390, non pubblica i dati. E anche quelli più “virtuosi” che rispettano la normativa sulla trasparenza, pagano comunque le imprese con una media che oscilla tra i 91 e i 360 giorni, contro i 30 previsti per legge, rischiando di far scattare tagli alla spesa per beni e servizi e blocco delle assunzioni. Ma tant’è.
È quanto emerge da un’analisi elaborata dal Centro studi di Confindustria Sicilia che, partendo dal decreto legislativo n.33 del 2013 (art.33) che obbliga i comuni a pubblicare la media dei giorni di ritardo dei loro pagamenti di servizi e forniture, ha rilevato la situazione degli enti locali siciliani al 31 dicembre 2014.
In particolare, dallo studio emerge che, nonostante l’obbligo di legge, il 59% dei comuni dell’isola non pubblica il dato sul proprio sito istituzionale. Del restante 41%, solo il 37% adempie ai pagamenti entro i 30 giorni previsti dalla normativa, mentre il 39% si prende da 31 a 90 giorni; il 22% paga con un ritardo compreso tra i 91 giorni e i 360 e il 2% supera addirittura i 360 giorni. L’analisi denota, inoltre, come i Comuni di piccole dimensioni presentino le maggiori carenze in termini di trasparenza. Non a caso le ultime due fasce dimensionali (comuni con abitanti compresi tra i 1.500 e i 3.000 e comuni con abitanti compresi tra 222 e 1.500 abitanti) presentano la maggiore carenza nella pubblicazione dell’Itp, rispettivamente il 73,3% e il 69,2%.
“Fra le diverse motivazioni dei ritardi nei pagamenti – si legge nello studio – rientra la bassa capacità di riscossione dei comuni siciliani e il fatto che in Sicilia nel 2013 il 55% (già in miglioramento rispetto al 46% del 2012) delle entrate correnti degli enti locali deriva da entrate tributarie. Il resto riguarda entrate da trasferimenti (35% contro il 46% del 2012) e da altre entrate (10% contro il 12 del 2012)”. Una situazione che si scarica, inevitabilmente, sui fornitori di beni e servizi privati. Tra l’altro, aggiunge l’analisi, “nel 2013 la velocità di riscossione in Sicilia delle entrate correnti è stata pari al 61%, contro una media italiana del 72%”. I comuni, quindi, che in molti casi sono veloci nel contrarre debiti (che non pagano alle imprese), poi non si preoccupano di recuperare i propri crediti.
“Un fatto è certo – commenta Confindustria Sicilia –: è ancora alta la percentuale di crediti non riscossi da parte delle imprese che, nelle more, continuano a erogare servizi alle amministrazioni inadempienti. E la situazione è favorita, senza ombra di dubbio, dalla mancanza di trasparenza. È bene ricordare, però, che non dichiarare i propri debiti, nonostante gli ingenti aiuti economici messi a disposizione dallo Stato, significa far morire le imprese portandole al fallimento: per poter cedere i propri crediti, infatti, è necessario che l’impresa si faccia certificare il credito dalla pubblica amministrazione debitrice, e poi se lo faccia anticipare dalle banche, le quali a loro volta potranno riscuoterlo dall’ente o comunque avvalersi della garanzia statale. È auspicabile, pertanto, che segretari e revisori dei Comuni aiutino il sistema a far applicare la legge e quindi a far pubblicare l’Itp, assicurare che i servizi dei comuni rilascino le certificazioni e, nei casi di inadempienza, che adottino le ormai inevitabili azioni in capo a quanti vengono meno agli obblighi di legge che caratterizzano la trasparenza nel rapporto tra Comuni e imprese”.
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