A distanza di oltre 36 anni dall’omicidio di Piersanti Mattarella, i magistrati sono pronti riaprire l’inchiesta battendo una pista fino ad ora inedita. Quella dell’estremismo nero legato a doppio filo con “centri di potere occulti”. Lo scrive oggi Repubblica.
Se fino ad oggi al delitto è stata attribuita una matrice esclusivamente mafiosa, anche se l’esecutore materiale non è mai stato individuato, ora nuovi indizi spingerebbero in una direzione diversa, collegando la questione ad altri due episodi importanti. Il primo, l’omicidio di Michele Reina, segretario della Dc siciliana, ucciso poco meno di un anno prima di Mattarella. Il secondo, il fallito attentato all’Addaura del luglio 1989, nella villa dove si trovava Giovanni Falcone.
È nei giorni fra la primavera e l’estate del 1989 – quando davanti alla villa di Giovanni Falcone collocano cinquantasei candelotti di dinamite per ucciderlo – che il giudice punta decisamente sui “neri” Valerio Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, come autori materiali dell’omicidio del Presidente della Regione. Se fino a quel momento la considerava un’ipotesi come tante, in quei giorni – la bomba dell’Addaura è datata fra il 20 e il 21 giugno – Falcone accelera gli atti istruttori sui Nuclei Armati Rivoluzionari e chiede ai pm titolari dell’indagine d’intensificare l’attività in quella direzione. Falcone si convince della loro colpevolezza – e dei legami dell’estrema destra romana con la Banda della Magliana (per intenderci, l’ambiente dove Massimo Carminati è stato allevato) e con la Cupola rappresentata nella capitale da Pippo Calò – in quelle settimane del giugno 1989. Solo un caso? I due “neri” vengono poi rinviati a giudizio, processati e assolti nonostante le dichiarazioni di un paio di pentiti del terrorismo nero.
Il fallito attentato coinciderebbe quindi proprio con la sterzata impressa da Falcone in quella direzione. Ma quali legami ci sarebbero con l’omicidio Reina?
Sembrano omicidi fotocopia. Uno ritenuto l’anticipazione dell’altro, una sorta di “segnale non raccolto” dentro una Democrazia cristiana che in quella stagione doveva fare i conti con gente come Vito Ciancimino. Sia il segretario provinciale della Dc che il Presidente della Regione, don Vito lo avevano individuato come il nemico numero 1 dentro il partito.
Non solo- come spiega il quotidiano – “tanti sono gli elementi che allontanano da una matrice puramente mafiosa i due delitti e, contemporaneamente, li avvicinano uno all’altro. Per esempio i testimoni che indicano il “presunto” killer. E’ sempre lui: Giusva Fioravanti”. Sia la la vedova di Reina quanto quella di Mattarella avrebbero infatti riconosciuto Fioravanti come killer.
Dietro all’omicidio Mattarella ci potrebbe quindi essere qualcosa di più di un attentato di mafia, come sintetizza l’avvocato Francesco Crescimanno, che da sempre rappresenta la famiglia Mattarella: “La mafia c’entra, certo che centra – dice a Repubblica -. Ma quello di Mattarella, lo ritengo un omicidio più politico che mafioso”.