MAZARA DEL VALLO – I Distretti produttivi sono un modello studiato dagli americani che lo vorrebbero applicare ad ampi settori della loro economia. I dati certificano che i distretti produttivi del Sud crescono il doppio rispetto a quelli del Nord. Eppure proprio a Sud non si riesce a cogliere appieno questa loro rilevanza, nonostante i tanti discorsi sull’argomento. Ne sa qualcosa Giovanni Tumbiolo, presidente del Distretto produttivo della pesca di Mazara del Vallo che si prepara alla IV edizione di Blue Sea Land, l’Expo dei Distretti agroalimentari del Mediterraneo, Africa e Medioriente che si teràr tra Palermo e la Casbah di Mazara del Vallo tra l’8 e l’11 ottobre. «Blue Sea Land – dice – è un’occasione formidabile per sperimentare e mettere a frutto il duro lavoro che, in particolare i cluster agroalimentari hanno svolto in questi anni. Il modello dei cluster, delle filiere agro-ittico-alimentari, l’economia reale dei territori e il modello virtuoso di fare sistema per creare occupazione e fornire sicurezza alimentare a produttori e consumatori, saranno i protagonisti del Blue Sea Land».
Voi avete individuato le rotte della Blue Economy come percorso per la crescita economica. Ma non è un po’ riduttivo limitare tutto al mare?
La Blue Economy parte dal mare, dalla Sicilia, ma non si esaurisce né con il mare né con la Sicilia. Contrariamente a quanto si crede, tale modello di sviluppo non riguarda solo la pesca ma si estende a tutte le filiere produttive: dall’agroindustria al manifatturiero, al turismo che, nonostante tutto, rappresentano le maggiori leve su cui poggia il futuro della Sicilia. L’acqua è l’elemento cardine di questa disciplina intorno alla quale finalmente l’Europa e l’Italia muovono i primi passi.
In linea teorica siamo d’accordo. Ma come si traduce in concreto questa filosofia?
Il Distretto della pesca e l’Osservatorio Mediterraneo con la sua articolazione (Cnr, Ispra, istituto Zooprofilattico, Parco scientifico e tecnologico, Università, Fondazioni e Centri di competenza) con il sostegno della Regione siciliana e della Comunità europea, hanno definito le “nuove rotte verso la Blue Economy”, creando dieci importanti laboratori e quattro assi di ricerca destinati a cambiare le cose. Anche la democrazia del mercato, conferendo un ruolo sempre più incisivo alla produzione primaria, ai suoi veri protagonisti: le imprese. D’altra parte la Sicilia e con essa il Mediterraneo, devono ripartire dal primario, dall’economia reale, dai pilastri fondamentali: agricoltura, pesca, artigianato di valore e turismo.
Le difficoltà non mancano…
E certo. Applicare le regole della Blue Economy ai settori portanti dell’economia siciliana, costituita da un tessuto produttivo fragile, fatto di imprese di piccole dimensioni, spesso a conduzione familiare, artigianale, le cooperative, non è facile. Le imprese delle nostre principali filiere produttive sono troppo piccole per farcela da sole in un mercato sempre più competitivo, globalizzato. E’ difficile per una microazienda agricola, turistica o della pesca ricercare, esplorare mercati spesso assai distanti, muoversi nel magma della finanza pubblica e privata. Da sola non ce la fa. Perciò torna fatalmente la necessità di fare sistema, di aggregarsi, creare alleanze. Ma senza perdere l’identità che è patrimonio e linfa vitale per la crescita. Per questo motivo sono straconvinto che, tra le forme di aggregazione possibili, ce n’è una che è tipica della storia e della struttura economica italiana: il Distretto produttivo.
Che, si diceva, piace agli americani.
Già. “La globalizzazione non ha ucciso i distretti industriali”: è una affernazione che arriva dalla ricerca dell’harvard Business Review, che per dimostrarla ha deciso di studiare a fondo i distretti produttivi italiani. I Distretti, secondo i recenti studi americani, stanno trascinando fuori dal pantano della lunga crisi economica e finanziaria gran parte del nostro Paese e l’America vuole applicare il modello distrettuale ad ampi settori dell’economia Usa.
Ma perché i distretti del manifatturiero e neoagricoli che pure godono di una forte identità non riescono a spingere fuori l’economia reale del Sud da questo vortice politico-culturale che la trascina sempre più in basso?
La risposta è semplice. Nei Distretti ci vuole una forte interazione pubblico-privato e un ruolo fondamentale è assegnato alle regioni, in particolare alla Sicilia che è la Regione più “socialista” d’Europa. Qui la maggiore impresa (per fatturato, numero di occupati e finanze) è appunto la Regione siciliana con tutta la sua ampia articolazione. Se la Regione non ci crede con coerenza e continuità d’azione, non c’è speranza. Se gli imprenditori delle filiere siciliane non faranno fino in fondo il loro dovere nella linearità e nel rispetto delle regole comuni, non ci sarà via d’uscita.
Distretti produttivi, Tumbiolo: «Unica via per uscire dalle secche della crisi»
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