Eni, ancora proteste a Gela. Lo sciopero nazionale della chimica a Gela, dopo la chiusura della raffineria dell’Eni, ha un significato particolare per una città che si mobilita in difesa di 50 anni di industrializzazione. Sono a rischio centinaia di posti di lavoro nell’indotto del petrolchimico, che si avvia alla totale scomparsa nell’assenza di una firma di un accordo di programma per l’area. Continua la protesta, esplosa ieri, con i blocchi delle vie di accesso alla città ad opera di disoccupati, lavoratori delle cooperative e delle imprese appaltatrici. Oggi per la prima volta nella storia di Gela si fermeranno anche i pozzi petroliferi. I sindacati hanno scritto una lettera aperta al premier, Matteo Renzi, affermando che “questa è la vertenza di una intera città che non vuole morire”, e chiedono “risposte immediate su lavoro e sviluppo” con la firma dell’accordo di programma, tra Stato, Regione, Comune e forze sociali, che sbloccherebbe gli investimenti e la ripresa produttiva a Gela.
Ieri per tutto il giorno ci sono stati blocchi che hanno impedito a chiunque di accedere nel centro abitato del comune del nisseno. Operai in sit-in di protesta pacifico all’altezza della prima rotonda di Macchitella, sulla strada statale 115 Gela-Licata e all’ingresso della statale 117 Gela-Catania. Pochi i furgoni itineranti che sono riusciti a transitare.
La mobilitazione è partita contro la chiusura della raffineria e contro la sua mancata riconversione in “green refinery”. Cgil, Cisl e Uil parlano di “Inganno di Stato” e puntano il dito contro l’Eni e il governo, che più volte hanno definito la “vertenza-Gela” ormai risolta.
I lavoratori delle imprese appaltatrici sono a rischio licenziamento, fermi da oltre due anni (ed esauriti tutti gli ammortizzatori), sono a rischio licenziamento in quanto non sono stati mai aperti i cantieri concordati con il protocollo d’intesa del novembre 2014, che avrebbero dovuto realizzare opere per 2,2 miliardi di euro in Sicilia.