Last updated on 1 maggio 2021
Ci sono voluti ben 72 giorni perché la Procura di Gela trovasse il tempo per ascoltare un bambino, presunta vittima di reati a sfondo sessuale.
Questo è il tempo intercorso fra la presentazione della denuncia, trasmessa scrupolosamente il giorno successivo dal Commissariato competente, ed il giorno in cui è stato ascoltato il piccolo. E’ la denuncia che arriva dagli avvocati Giuseppe S. Messina e Eleanna Parasiliti Molica. “Ancora oggi, malgrado le evidenze probatorie acquisite, anche con l’incidente probatorio del piccolo, sempre su esclusiva sollecitazione degli Avvocati della persona offesa, il fascicolo giace presso gli uffici della Procura di Gela, così come altri che riguardano lo stesso indagato, accusato di fatti gravissimi anche ai danni della moglie e di altre donne – scrivono gli avvocati -. Tutti i procedimenti avviati, alcuni già dal 2019, non hanno avuto alcuno sviluppo processuale in un senso o in un altro”.
“Eppure – continuano gli avvocati – il rispetto della normativa sul codice rosso avrebbe imposto l’ascolto della persona offesa entro tre giorni ed invece, oltre che all’inadeguata applicazione delle norme procedurali, abbiamo assistito all’inaspettato intervento del Pubblico Ministero che ha financo avanzato una richiesta di affidamento del bambino ai Servizi Sociali, nonostante quest’ultimi avessero valutato inopportuno e dannoso separare il piccolo dalla mamma. Giustamente il Tribunale di Gela, rigettando la richiesta del Pubblico Ministero, ha affidato in via esclusiva il bambino alla madre, scongiurando la beffa”.
Le accuse dei due legali si spingono oltre: si tratta, dicono, di “Una vicenda che ha dell’assurdo soprattutto perché l’indagato è un appartenente alle forze dell’Ordine che continua a fare una vita normale nel silenzio del suo Corpo di appartenenza e soprattutto con il pieno sostegno della sua parrocchia. Durante il triduo pasquale, pochi giorni dopo il provvedimento di affidamento esclusivo del figlio alla madre, l’indagato è stato immortalato, sull’Altare Maggiore di una chiesa appartenente alla Diocesi di Piazza Armerina, accanto al sacerdote, perfettamente informato di tutte le vicende ed accanto a Monsignor Rosario Gisana, vescovo di Piazza Armerina. Eppure la delicatezza della vicenda oltre che ragioni di opportunità avrebbero dovuto imporre alle Istituzioni coinvolte maggiore attenzione e certamente un contegno rispettoso anche delle presunte vittime”.
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