Last updated on 24 dicembre 2022
“A Peppe Antoci non l’hanno voluto ammazzare, però quando escono i miei parenti dal 41 bis lo ammazzano”. Una frase captata in una conversazione dal significato inequivocabile, che nell’universo mafioso ha un solo significato, quello di un mandato chiaro ad uccidere, che può essere eseguito da chiunque si trovi sul territorio. E a quanto pare sulla stessa linea, in tempi molto recenti, sarebbero stati intercettati segnali precisi tra le pieghe di alcune organizzazioni calabresi. In una regione dove il Protocollo Antoci ha dispiegato già da tempo i suoi effetti “deleteri” per le ‘ndrine, azzerando guadagni antichi per milioni di euro.
C’è un nuovo progetto di morte per uccidere Giuseppe Antoci, l’ex presidente del Parco dei Nebrodi che con il suo protocollo antimafia divenuto poi legge nazionale ha smantellato il sistema delle truffe sui fondi europei, con cui Cosa nostra siciliana e la ‘ndrangheta calabrese hanno incassato per anni miliardi di euro pubblici senza alcuna fatica. E già da qualche tempo sono state rafforzate le misure di sicurezza personali per Antoci e per i tutti i suoi familiari, con un monitoraggio costante e incrociato h24 da parte di più forze dell’ordine.
L’allarme scatta a distanza di sei anni dall’attentato sui Nebrodi del 2016 (a cui scampò per miracolo dopo l’intervento degli uomini della scorta) e viene tra l’altro da una recente inchiesta della Distrettuale antimafia di Messina, tra le carte criptate di alcune intercettazioni dal contenuto inequivocabile: già prima che arrivasse al suo epilogo il maxiprocesso Nebrodi, con i 600 anni di carcere inflitti dal Tribunale di Patti a capi e gregari dei clan tortoriciani, alcuni esponenti della famiglia mafiosa dei Batanesi rimasti ancora “in giro” hanno parlato apertamente: bisogna eliminare Antoci, e ci sarebbero stati anche segnali precisi da chi si trova ristretto al “41 bis”, segnali recapitati anche all’esterno del mondo carcerario.
Be First to Comment