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I consulenti: il costo del lavoro è la vera zavorra

L’analisi dell’Istat, che ha previsto per il 2013 la crescita del tasso di disoccupazione all’11,4% e la diminuzione del Pil di mezzo punto, ha riportato l’attenzione su una problematica evidenziata da tempo dalla Fondazione Studi del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro: l’eccessivo costo del lavoro.

 

Secondo i dati di un’indagine della Fondazione Studi, per garantire un netto di 1.236,00 euro a un lavoratore bisogna spendere 2.648,19 euro: ovvero il 114,22% in più. Per dare respiro alle aziende è invece indispensabile individuare le risorse economiche adeguate per adottare strategie che riducano sensibilmente gli oneri per i datori di lavoro: le piccole aziende e i lavoratori autonomi sono coloro che sostengono l'occupazione in Italia, anche svolgendo il ruolo di ammortizzatori sociali in mancanza di intervento dello Stato.
 

L’occupazione italiana recede invece sempre di più, perché chi dovrebbe assumere è penalizzato dalle manovre che si sono susseguite, che non hanno inciso efficacemente su questi problemi reali: il costo del lavoro si riduce abbassando le aliquote contributive, non abbassando le potenzialità di spesa dei dipendenti, ovvero generando un ulteriore fattore depressivo dell’economia reale.
 

 “Lo sosteniamo da tempo immemore perché ogni giorno è sotto gli occhi di tutti i Consulenti del Lavoro – dichiara Marina Calderone, Presidente del Consiglio Nazionale dell'Ordine -. Gli imprenditori che assistiamo, tra i tanti problemi che li affliggono, lamentano prima di tutto il gravoso onere che ha il costo del lavoro. E questo lo stiamo denunciando da anni perché è da anni che è così. Finalmente c'è ora una presa di posizione pubblica e collettiva. Peccato così in ritardo. Avessero ascoltato i veri tecnici sin da quando è stato sottolineato il problema forse la storia del nostro Paese degli ultimi anni sarebbe stata scritta diversamente".
 

E' dunque necessario ridurre il costo del lavoro. Ma come fare? Lo Stato potrebbe muoversi su tre fronti, riducendo di 5 punti percentuali il contributo delle aziende; dimezzando il costo Irap e forfetizzando il prelievo Iperf al 10% almeno fino alla fascia di reddito pari a 26.000 euro. I dipendenti fino a questa fascia sono circa 11 milioni e 700 mila (con esclusione di quelli che rientrano nella no tax area). I redditi prodotti sono circa 213 miliardi di euro, con la conseguenza che l’applicazione di un prelievo forfetario avrebbe un costo per le finanze pubbliche di circa 4 miliardi e 500 milioni di euro.
 

E in contropartita le risorse per bilanciare questi mancati introiti potrebbero essere recuperate nella tante e tante riforme possibili ma non attuate. Una forte cura dimagrante per i pubblici apparati, la dismissione di patrimonio pubblico, la razionalizzazione di sprechi a cominciare da quanto erogato ai patronati: una serie di interventi non concretizzati che se trovassero attuazione renderebbero migliore il bilancio dello Stato e, più indirettamente, più basso il costo del lavoro. Vero traino per il rilancio e lo sviluppo della nostra economia.

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