C’è un filo rosso che lega Fra Diavolo a Renato Vallanzasca, Carmine Crocco a Salvatore Giuliano. Un filo fatto di mito, violenza, ribellione e narrazione. E soprattutto di cinema, capace di trasformare il bandito in eroe romantico o mostro sociale, a seconda della lente adottata da registi e sceneggiatori. È da questo spunto che nasce “Il cinema fuorilegge”, saggio firmato dagli avvocati penalisti e cinefili Carmelo Franco e Paolo Di Fresco, edito da Frascati & Serradifalco (193 pagine, 16 euro).
Il volume si presenta come un’appassionata e documentata ricognizione tra storie di briganti, banditi e brigantesse, veri e immaginari, che dal brigantaggio postunitario ai cani sciolti metropolitani hanno trovato nel cinema un potente mezzo di rappresentazione e trasfigurazione.
Il brigante, tra giustiziere e criminale
Come scrive Ivan Scinardo nell’introduzione, il libro evidenzia come l’immaginario collettivo abbia assorbito l’idea del brigante attraverso elementi ricorrenti: il controllo del territorio, l’uso della violenza, i legami con il potere. Aspetti che, osservano gli autori, hanno anticipato e ispirato successivamente i modelli organizzativi delle mafie.
Secondo Franco e Di Fresco, la storia dell’Italia unita coincide per lunghi tratti con la repressione del brigantaggio meridionale, e le pellicole sul tema hanno saputo cogliere le sfumature umane e sociali di figure spesso complesse. Da muscolosi fuorilegge romantici a spietati criminali politici, i banditi italiani hanno ispirato autori tra loro distanti, offrendo narrazioni ibride che oscillano tra mito e realtà.
Robin Hood, Zorro e le drude: i miti e le donne del banditismo
I modelli archetipici che attraversano il libro sono evidenti: Robin Hood e Zorro come figure universali del fuorilegge con un codice, simboli di una giustizia altra e di un ribellismo irregolare. Ma il saggio dedica anche un approfondimento al banditismo al femminile, troppo spesso trascurato dalla storiografia e dalla narrazione cinematografica.
Durante la feroce repressione sabauda, raccontano gli autori, la stampa dell’epoca ribattezzava le donne dei briganti con il termine “drude”, dal significato dispregiativo. Eppure, queste brigantesse non erano affatto le “diavolesse” dissolute delle cronache, ma donne analfabete, cresciute nella miseria, in fuga da un’esistenza di soprusi, capaci di scegliere la clandestinità pur di sottrarsi all’oppressione.
Il cinema come moderno cantastorie
Attraverso l’analisi di decine di film, Franco e Di Fresco dimostrano come il cinema italiano abbia assunto il ruolo di moderno cantastorie, capace di reinterpretare il fenomeno del banditismo con nuovi linguaggi e chiavi di lettura, restituendogli attualità e senso critico.
Dai classici neorealisti ai polizieschi degli anni Settanta, fino alle opere contemporanee, “Il cinema fuorilegge” ricostruisce con passione e rigore una contro-storia del crimine e della ribellione, in cui la settima arte si fa specchio delle contraddizioni e delle tensioni di un Paese che, ieri come oggi, cerca giustizia anche al di fuori delle sue regole.
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