In Italia ci sono oggi 692 opere incompiute, per un importo, al lordo degli oneri, pari a circa 3 miliardi e mezzo di euro. Lo calcola il Codacons, che ha redatto al riguardo un dossier. Per completare i lavori servirebbero altri 1,3 miliardi di euro. Il record delle opere ferme spetta al Lazio, dove i progetti da terminare sono 82. Subito dopo la Sardegna (68) e la Sicilia (67).
La maggioranza delle incompiute, si legge nel dossier, sono opere e infrastrutture sociali (62%), ma in valore si equivalgono con le infrastrutture di trasporto (39%). Sono 34e le opere che non risultano portate a termine a causa della mancanza di fondi; 208, pari al 31% del totale, per interruzioni dovute a cause tecniche, 188 (28% del totale) a causa del fallimento dell’impresa esecutrice.
Un quadro deprimente, commenta il Codacons, e un enorme spreco di risorse pubbliche. Il governo deve dare priorità assoluta al completamento dei lavori già iniziati, bloccando l’autorizzazione a qualsiasi nuova opera fino a che non saranno portati a compimento i progetti già avviati e per i quali sono stati spesi finora una valanga di soldi della comunità.
Tra i casi più eclatanti, l’associazione ricorda “la Vela di Calatrava a Roma, il cui costo è passato da da 65 a 608 milioni di euro e ancora necessita di fondi per essere completata, e la Nuvola di Fuksas, per la quale sono già stati stanziati 276 milioni di euro”.
Per quanto concerne la Sicilia, il sito incompiutosiciliano.org, permette di visualizzare una mappa dell’isola dove sono segnalate le opere ancora da terminare. Soltanto per la città di Palermo si contano 7 cantieri ancora aperti, distribuiti tra sanità e infrastrutture.
Cosa fare quindi di questo patrimonio che sta andando sprecato? Per il viceministro Nencini, che sta studiando delle norme per risolvere il problema, la prima cosa da fare è «andare a scavare tra queste opere per decidere cosa è ancora necessario ed eventualmente modificare i progetti», per poi chiedere aiuto ai privati. «Con la carenza di fondi pubblici alcune di queste opere andranno affidate al mondo privato: se non c’è collaborazione pubblico-privato non si concluderanno mai». Per agevolare questo percorso il viceministro, che non scarta nemmeno l’ipotesi di affidare la situazione a un commissario, lancia una proposta di un bonus fiscale da discutere con il Mef: «si può pensare ad una premialità fiscale per i privati e non escludo la possibilità di revisione di natura urbanistica per dare ai privati la possibilità di utilizzare il bene per altri usi, con il vantaggio di evitare nuovo consumo di territorio». Tra le ipotesi sul tavolo c’è anche quella di dare «incentivi alle pubbliche amministrazioni che fanno di questo tema una priorità».