Perché esiste la violenza? Una domanda apparentemente semplice, quasi banale che molti nella vita si sono trovati a porsi. La distruttività, l’aggressione e la prevaricazione hanno mosso e continuano a muovere grandi eventi storici, politici e sociali, ma anche vite e destini di singoli e di piccole comunità.
Perché allora? Salvatore Borzellino, filosofo, musicista, fotografo e grande esperto di cinema prova con il suo primo saggio Ultraviolence, una teoria sulla violenza secondo S. Kubrick,a rispondere in modo raffinato ed originale. Da grande appassionato di cinema e profondo conoscitore della produzione di Kubrick, l’autore si muove sin da subito in un campo a lui congeniale, la parola e l’immagine.
Seguendo un ordine logico e non cronologico, Borzellino accompagna il lettore all’interno delle scene e delle sequenze cinematografiche realizzate da Kubrick, spiegando come la violenza nel genere umano sia qualcosa di profondamente e ancestralmente legato allo stato di natura. La violenza appare come ontologicamente legata alla nostra specie e quasi necessaria al fondamento dell’umanità. In Totem e tabù (1913), Freud collega la perdita dello stato primordiale e selvaggio ad un atto violento, l’uccisione da parte dei figli del padre dell’orda. Anche Kubrick in 2001 odissea nello spazio sembra rappresentare qualcosa di simile: colpisce la violenza e l’efferatezza con cui l’ominide di Kubrick conquista uno stato evolutivo superiore, scoprendo l’uso dell’arma che immediatamente viene utilizzata per fracassare un cranio. E Borzellino lo coglie: l’alba dell’Uomo è quel momento in cui si è esposti alla violenza degli altri esseri viventi e dell’ambiente e si lotta con veemenza per soddisfare i bisogni basilari. La sopravvivenza stessa è un atto violento. Pertanto la violenza diviene una necessità pedagogica. Essa viene spiegata ai bambini attraverso le fiabe, spesso costellate da atti criminali e sanguinari., la crescita personale dei personaggi e la risoluzione delle vicende problematiche passa sempre attraverso eventi terribili di sangue e morte. Anche i protagonisti di Kubrick si vestono della medesima valenza simbolica, divenendo personaggi di favole moderne, mossi da pulsioni e passioni distruttive.
Ma l’autore fa un passo avanti.
Utilizzando uno stile di esposizione che ricorda quasi il montaggio di un film, con tagli e cuciture, Salvatore Borzellino continua la sua analisi.
L’ineluttabilità della natura violenta degli uomini è domata, almeno in apparenza dal contratto, questo assume la valenza di conditio necessitatis superiore che si oppone e tenta di imbrigliare la caotica e sregolata tendenza al male. Lo Stato, la società, la famiglia, la Legge, sono tutti artifici che, basandosi su riti assumono un ruolo rassicurante: là dove vi è ripetizione e limite, il caos sembra cedere il passo al logos.
Ma è veramente così?
La contrapposizione tra dionisiaco ed apollineo è alla base del peccato originale. Come ben evidenzia l’autore, tutta la filmografia di Kubrick è incentrata a rappresentare lo scontro inesorabile ed inesauribile tra queste due istanze, l’una, caotica e creatrice, l’altra come necessità di sublimazione della prima. E qui Borzellino è puntuale nel descrivere come la potenza dell’immagine riesca a rappresentare il concetto appena esposto.
Lo sforzo di imbrigliare ogni caotico impulso in logiche razionali non può non essere alienante snaturando l’essenza stessa dell’essere umano. Se l’Es rappresenta il caos e l’Io rappresenta il logos, in accordo con J. Lacan, possiamo dunque affermare che quest’ultimo “è il sintomo umano per eccellenza, la malattia mentale dell’uomo”.
Quale allora la soluzione possibile?
Scorrendo la pellicola di questo saggio, fotogramma dopo fotogramma pagina dopo pagina,, Salvatore Borzellino segue Kubrick e rivela nel finale come una terza via sia possibile: l’ultimo capolavoro del regista lascia intravedere una scintilla di speranza svelando come l’impulso al più mortifero dei godimenti possa riallacciarsi e fare pace con una spinta vitale e creatrice.
Pur essendo un saggio filosofico, la chiarezza dei contenuti e la modalità di scrittura rendono quest’opera fruibile e interessante anche per un pubblico di non addetti ai lavori, spunto interessante di riflessione su un tema antico e al tempo stesso estremamente contemporaneo.
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