Ho appena finito di leggere: ‘L’uomo che parlava alle capre e altre cose così’ dell’amico giornalista Nino Amadore. L’ho brucato in un giorno. Anche troppo direi.
Già quando ho letto il titolo del primo capitolo ‘Era mio padre’ ho avuto un sussulto. Mi ha fatto pensare a ‘Era il mio paese’ a mio padre, alla nostra gente. Entrando nella narrazione poi ho conosciuto meglio Don Giacomino, padre dell’autore ma, in realtà, come un padre di tutti noi, forgiato dal duro lavoro della campagna, dalla vita di borgo Milè e dai sani principi degli uomini di un tempo.
Nino Amadore, novello Achille, è stato immerso nello Stige di questo alto spirito morale, colmo di senso di giustizia, di equità sociale di riscatto dalle iniquità.
Quel ‘padre galatese’ ammaestra il figlio su come razionalizzare le risorse della natura
per poter raggiungere risultati che prima parevano impensabili per un agricoltore ma gli insegna soprattutto a usare la testa, a non affannarsi troppo, ad essere razionale e giusto nelle scelte della vita.
Partendo, quindi, dallo sfolgorante ricordo del pater familias, Nino analizza ed evidenzia alcune brillanti menti del nostro paese come l’apicoltore Giacomo Emanuele che è, appunto, l’uomo che ‘parla’ alle capre ( la bimba del post è Emma, sua figlia ), Celestino Drago, Chef di successo negli USA, per poi addentrarsi nel resto della Sicilia trattando della dinasty Fiasconaro, di Doroty Armenia e della sua Agroittica Macrostigma, della Free Mind Foundry di Acireale. Legge in queste realtà semi di grande speranza per la nostra Sicilia ma non si ferma a questo, lega abilmente questo sentimento a tanti uomini liberi, menti coraggiose e pensanti.
E qui traccia le figure di giornalisti strictu sensu come Michele Albanese e Giacomo di Girolamo, ‘giornalisti residenti’ cronisti di lotta, cani senza padrone resistenti ad un certo malcostume scoopistico similtelevisivo che Nino chiama ‘neo-dannunzianesimo e cioè voglia di imprese eclatanti, voglia di rendere il rischio del mestiere quasi ‘estetico’ a scapito del dovere asciutto di cronaca lontana dai riflettori di un certo titolo di televisione.
Questi suoi colleghi inseriti appieno in territori di ‘ndrangheta e mafia, operai dell’ inchiostro che semplicemente fanno il loro dovere mettendo a rischio ‘semplicemente’ la loro vita e quella dei loro cari. Non c’è da sorprendersi se a volte pagano il loro essere ‘giornalisti giornalisti’ a caro prezzo come il caso di Giancarlo Siani, martire indimenticato, delle sue battaglie di penna contro la camorra stroncate nel sangue.
Ma per la lotta pura e dura servono anche i soldati e Nino individua la squadra dei vegetariani con a capo Tiziano Granata e Rino Todaro, poliziotti alle dipendenze del vice questore Daniele Manganaro che scoprono le carte del malaffare nebroideo legato ai fondi Agea, alla macellazione clandestina e ad una miriade di truffe connesse. Vi invito in merito a leggere anche l’accurata analisi del prof. Luciano Armeli Iapichino nel suo ultimo libro ‘I vicerè delle agromafie’.
Peccato che Tiziano e Rino muoiano ‘naturalmente’ a distanza di 24 ore…. tutto molto strano, innaturale, balordo! E come se non bastasse, poi, Manganaro promosso e …. trasferito, il presidente del parco dei Nebrodi Antoci… sostituito.
Bah… a pensar male!
E poi Nino torna sui suoi e miei monti, qui sui Nebrodi, aspri, difficili, duri da controllare anche per lo Stato ma non per la mafia che si fa ‘liquida’ e si incunea ovunque e riesce a mimetizzarsi e a succhiare al midollo le risorse messe a disposizione dalla Regione, dallo Stato e soprattutto dalla UE.
Ed anche coloro i quali appaiono ‘cretini’ sono invece punte dell’iceberg del sistema mafioso fatto, tra queste valli e questi boschi,
di usucapioni fasulle, particelle rubate, terreni assommati a terreni fantasma, notai compiacenti o poco attenti e molte altre … cose così.
La mafia necessità di ‘cretini’ (si sa) ma Nino parla alle capre non nel senso ‘sgarbiano’ del termine ma parla agli operosi, alle anime nobili, alle menti sagaci di questa terra meravigliosa che è la Sicilia e lo fa sperimentano questa nuova forma narrativa ricordando suo padre che con un coltello piatto innestava il pero, o che zappava la terra sempre con lo stesso ritmo per non disperdere energie inutili e lo fa con il cuore e l’animo di un uomo, un ‘giornalista giornalista’ nato per scrivere con forza, coraggio e integrità morale di cronaca, di mafia, di malaffare, di sopraffazioni.
E di molte altre cose … così.