Di fronte a una crisii così nera il welfare può e deve cambiare pelle. In che modo? Costruendo un sistema basato sull’integrazione tra medici, farmacisti, operatori socio-sanitari e mutue, utilizzando lo strumento della cooperazione che è quello che più garantisce i cittadini, in quanto strumento no-profit, quindi non vocato all’utile bensì allo scambio mutualistico, e portando, di conseguenza, a casa delle persone tutte le risposte ai bisogni assistenziali ravvisate dalle famiglie.
E’ questo il senso del nuovo progetto della Federazione sanità illustrato dal presidente nazionale, Giuseppe Milanese, che è stato questa mattina a Ragusa per partecipare ai lavori promossi da Confcooperative Ragusa e dal Centro di assistenza tecnica, aventi per tema “Il ruolo della cooperazione nell’integrazione socio-sanitaria”. Milanese è stato molto diretto chiarendo che da questo sistema arriveranno risposte di tipo essenziale “perché la nostra gente – ha aggiunto – ha bisogno di assistenza primaria, quindi persone che arrivino fuori dall’ospedale nelle abitazioni fornendo alternative ai vari bisogni sollevati. Ma può giungere anche una risposta a un bisogno occupazionale: se riuscissimo, in Italia, a portare l’assistenza primaria al livello degli altri Paesi europei si potrebbero creare ben 190.000 nuovi posti di lavoro”. Ma Milanese ha pure indicato la principale difficoltà da superare. Quale? “I professionisti – ha detto – spesso non hanno la mentalità di organizzarsi in questo senso. Bisogna superare la divisione e la tendenza ad approcciare il sistema in maniera individualista. La cooperativa riesce a mettere insieme questi professionisti e a generare un sistema positivo”.
Anche il presidente regionale di Confcooperative Sicilia, Gaetano Mancini, è stato molto chiaro in proposito. “C’è di certo l’esigenza – ha detto – di offrire dei servizi di livello elevato nel settore socio-sanitario garantendo, al contempo, un equilibrio economico in quanto sappiamo che oggi i bilanci pubblici in questo settore soffrono moltissimo con ciò caratterizzando in negativo gli strumenti finanziari regionale e delle Amministrazioni locali. Abbiamo elaborato questa proposta basandoci sulla forza del modello cooperativo che conta su esperienze in diversi settori ed attività che, coniugate, possono dare complessivamente una risposta integrata. Quale? La rete degli sportelli delle farmacie, un primo momento di interfaccia con l’utenza, le cooperative di medici che forniscono apporti di carattere medico e sanitario, le cooperative socio-sanitarie per l’assistenza, le mutue per garantire una sostenibilità complessiva, giusto per fare alcuni esempi”. Ma quali, nel concreto, gli strumenti da utilizzare? A sciogliere l’interrogativo Emanuele Occhipinti della Banca Agricola Popolare di Ragusa. “Uno può essere – ha spiegato – la società di mutuo soccorso, uno strumento storico, la cui legislazione risale addirittura al 1868, ma che trova oggi, in questa complessa situazione economica, anche dello Stato, una nuova vitalità. Se ne è accorto pure il Governo tant’è che con il decreto 197 del 18 ottobre del 2012 ha ridisegnato le finalità delle società di mutuo soccorso inserendo appunto la possibilità di gestire fondi integrativi, fondi assistenziali, predisporre convenzioni, gestire accordi collettivi con le imprese, fondi sanitari nazionali. E’ una soluzione importante perché consente di passare da un welfare dello Stato, che è attualmente in crisi, ad un welfare della comunità che è la forma che risulta necessario ed urgente attuare”. Il vice commissario Confcooperative Ragusa, Gianni Gulino, ha sottolineato che si tratta di “una grande opportunità per i medici e per tutti gli operatori del settore, in quanto si punta alla creazione di specifiche sinergie che possono dare manforte all’ambito pubblico”. Il vicepresidente regionale della Federazione Sanità, Alessandro Tumino, si è invece soffermato sul fatto che “le cooperative dei medici possono realizzare in pratica quello che il decreto Balduzzi dice. Gestire le Aggregazioni funzionali territoriali, le Unità di cura complesse primarie, cioè la cura nella gestione di quella parte dell’assistenza che non si potrà più fare in ospedale perché le ospedalizzazioni dureranno di meno e ci sarà l’aumento della cronicità, cioè di quelle patologie che dovranno essere esaminate dal territorio”.