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Inchiesta beni confiscati, sono quattro i magistrati di Palermo indagati. Ecco tutti i favori sospetti

Inchiesta beni confiscati, sono quattro i magistrati di Palermo indagati. Oltre a Silvana Saguto che ha lasciato il suo incarico sostituita da Mario Fontana,l’inchiesta coinvolge il presidente di Sezione ed ex consigliere togato del Csm, Tommaso Virga, indagato per induzione alla concussione, il sostituto procuratore Dario Scaletta (presunta rivelazione di segreto d’ufficio: avrebbe riferito a Saguto notizie riservate sulle indagini in corso a Caltanissetta) e Lorenzo Chiaromonte, giudice della Sezione diretta dalla Saguto (abuso d’ufficio).  Virga è sospettato di avere favorito un procedimento disciplinare a carico della Saguto la quale avrebbe garantito la nomina del figlio di Virga, Walter ad amministratore giudiziario dei beni sequestrati agli eredi di Vincenzo Rappa.  I magistrati sono arrivati a questa ipotesi grazie a delle intercettazioni che erano state disposte su Walter Virga, a sua volta coinvolto in un altro procedimento per peculato, falso e concussione. La Saguto, inoltre, avrebbe ottenuto l’assunzione, per un breve periodo di tempo, della compagna del figlio, Francesco Caramma, presso lo studio legale Virga. Un altro figlio di Saguto, Emanuele Caramma, avrebbe ottenuto altri favori da Carmelo Provenzano, ricercatore all’Università Kore di Enna. In cambio della gestione di alcuni beni confiscati, Provenzano si sarebbe impegnato a favorire Emanuele Caramma negli studi e addirittura a scrivergli la tesi di laurea e trovargli un lavoro. Provenzano, tra l’altro, spesso fa recapitare al giudice Saguto cesti di frutta e verdura, forse provenienti, annotano gli investigatori, dai beni sequestrati…

Scaletta avrebbe invece rivelato a due giudici della sezione della Saguto notizie sull’inchiesta.Uno dei due giudici, Chiaromonte avrebbe deciso sulla gestione di beni da 10 milioni di euro sequestrati al mafioso Luigi Salerno “malgrado l’amministratore giudiziario fosse una persona a lui molto vicina”.

DON CIOTTI.  “Da tempo Libera insiste sulla necessità di rinnovare e anche di ripensare l’antimafia, ripulirla dalle zone d’ombra, dagli usi strumentali, dai collegamenti col malaffare, con la corruzione e in certi casi con le stesse mafie”. Così don Luigi Ciotti riguardo l’indagine della Procura di Caltanissetta sulla gestione dei beni confiscati a Palermo. Il fondatore di Libera ha ribadito l’urgenza di istituire un albo, definire delle linee guida, studiare dei meccanismi che garantiscano standard di competenza e integrità per la gestione dei beni confiscati. E ha concluso: “Ora aspettiamo che la politica rompa gli indugi e ponga concretamente mano a quelle modifiche”.

“Fermo restando che bisogna aspettare l’esito delle indagini e l’accertamento delle responsabilità, il quadro che sta emergendo dall’inchiesta della Procura di Caltanissetta sulla gestione dei beni confiscati a Palermo è allarmante“. Scrive Ciotti riguardo l’indagine della Procura di Caltanissetta sulla gestione dei beni confiscati a Palermo.

 “Quello che sta emergendo in Sicilia, quadro già denunciato a suo tempo dal Prefetto Caruso, ex direttore dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati davanti alla Commissione antimafia,  è un’ulteriore riprova dell’urgenza” di misure di controllo anche sull’Antimafia, ha concluso don Ciotti.

Il presidente di Libera ha sottolineato: “E’ in particolare sui beni confiscati che, insieme ad altre realtà, abbiamo presentato proposte concrete. Una riguarda proprio la figura chiave dell’amministratore giudiziario, per la quale riteniamo urgente istituire un albo, definire delle linee guida, studiare dei meccanismi che garantiscano standard di competenza e integrità. Non possiamo rischiare che una misura fondamentale di lotta alla mafia come la legge 109 diventi, da strumento di giustizia sociale, strumento di privilegio, di abuso di potere, di scambio di favori. In una parola di quella corruzione che, se non è propriamente mafia, alla mafia certo non sbarra la strada”.

LAURICELLA.  Sulla questione dei beni confiscati alla mafia interviene il parlamentare nazionale del PD, Giuseppe Lauricella. Che parla della necessità di “un intervento urgente” da parte della politica.

“L’inchiesta della Procura della Repubblica di Caltanissetta – sottolinea Lauricella – ci dice a chiare lettere che, qualunque sarà l’esito, in questo importante settore della vita pubblica qualcosa non funziona, o funziona male. Assistiamo alla concentrazione, in poche mani, di ingenti patrimoni (con beni aziendali e beni immobili) sequestrati alla mafia. Con l’aggravante che, spesso, non sono gestiti con criteri imprenditoriali. Cosa, questa, che provoca la crisi se non la chiusura di attività economiche, con la perdita di posti di lavoro anche quando l’inchiesta finisce con un provvedimento favorevole all’indagato o imputato”.

“Il problema è noto da tempo – prosegue il parlamentare nazionale -. Ora è arrivato il momento di trovare soluzioni. E di questo compito deve occuparsi la politica. Mi rendo conto che, in certe situazioni, il rapporto fiduciario tra i magistrati e gli amministratori giudiziari è importante. Ma appare, in ogni caso, irrazionale concentrare nelle mani di pochi amministratori giudiziari, o, in certi casi, addirittura di uno solo di essi, decine e decine di beni aziendali ed immobili, sapendo che è oggettivamente impossibile garantirne contemporaneamente una buona gestione”.

“La nuova normativa che il Parlamento nazionale dovrebbe approntare e approvare – dice ancora Lauricella –  dovrebbe introdurre un limite numerico di incarichi per la gestione di questi beni. Avendo cura che a gestire i beni aziendali siano figure con alle spalle esperienze imprenditoriali o associazioni di imprenditori, con un serio riscontro sulla probità dei soggetti incaricati. Fermo restando che questi ultimi dovranno fornire comunque risposte precise in termini di sana gestione e di tutela dell’occupazione, pena la perdita dell’incarico e il risarcimento del danno”.

“Credo che il limite di tre incarichi per un soggetto non debba essere superato – afferma il deputato nazionale del PD -. E ritengo che, fatto salvo, almeno per alcuni casi, il rapporto fiduciario, vada vagliata anche l’ipotesi del sorteggio tra gli iscritti all’albo degli amministratori giudiziari. La nuova normativa – continua Lauricella – era scaturita dall’esigenza di assicurare, con la previsione degli amministratori giudiziari, una specifica ed adeguata professionalità nella gestione di tali situazioni. Ma l’affidamento sproporzionato a pochi ha finito con il vanificare la ratio della norma, con gravi danni economici e sociali”.

“Quando la Camera dei deputati discuterà in tema di giustizia – conclude Lauricella – presenterò le proposte necessarie per provare a fare chiarezza su questo tema. E sono certo che tutto il Parlamento lavorerà ad una soluzione per risolvere un problema che è diventato annoso e non più eludibile”.

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