I dati Eurostat parlano chiaro: l’Italia è l’unico Paese europeo in cui il costo del lavoro nei primi tre mesi del 2016 è calato notevolmente. Già negli ultimi mesi del 2015 era stato riscontrato un calo pari al 2,9% dei costi non salariali, mentre il costo del lavoro totale era sceso dello 0,7%, con una riduzione dello 0,2% a carico degli stipendi.
La notizia del calo attuale non è del tutto positiva, come ci conferma anche soldialsicuro.it, se non per i datori di lavoro: infatti, insieme alle tasse e ai contributi del lavoro, a calare sono stati anche quest’anno gli stipendi, che sono scesi dello 0,5% rispetto ad un anno prima.
Secondo il rapporto sul costo del lavoro, l’Italia vede un calo complessivo del costo del lavoro pari all’1,5%, mentre i vari Stati aderenti all’UE hanno riscontrato un aumento dello stesso dell’1,7%.
Questo risultato nello Stivale è dovuto soprattutto agli sgravi contributivi sui costi non salariali, pari al 3,9%: si tratta di una voce che comprende le tasse sul lavoro e i contributi sociali a carico dell’impresa o della ditta datrice di lavoro. Invece, per quanto riguarda la diminuzione salariale oraria, nel pubblico si registra un -0,1%: in quest’ultimo ambito il costo del lavoro è sceso in pochi mesi dello 0,4%, contro il +1,5% che ha invece registrato l’Unione Europea. Invece nel privato si segnala un calo del -0,7%: è soprattutto il settore dell’industria che vede la diminuzione più evidente del costo del lavoro, pari a -2,6% (dato UE: +1,9%). Nell’ambito dell’edilizia il calo ammonta a 3,1% per il costo del lavoro e a -8% dei costi non salariali. Infine nel ramo terziario si rileva una diminuzione minore: -0,2% (+1,5% UE), con un costo del lavoro totale che scende a-1,6%.
Come accennato, l’Italia è praticamente l’unico paese dell’Unione Europea in cui si è rilevato questo trend, accompagnata per il primo trimestre del 2016 dall’isola di Cipro: anche qui, per il lasso di tempo indicato, il costo del lavoro è calato dello 0,5%.
Gli Stati in cui si sono registrati gli aumenti del costo più evidenti sono invece la Bulgaria, con un -7,7%, la Lettonia, l’Estonia e la Lituania (rispettivamente con un +4,7%, +6,9% e 6,1%), e la Romania al primo posto, con un dato a +10,4%.
I dati che riguardano il Belpaese, dunque, rappresentano una buona notizia per i datori di lavoro e una cattiva per i lavoratori, tuttavia non fanno che confermare i dubbi della BCE sul possibile congelamento degli stipendi.
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