La battaglia intrapresa da Coldiretti sul prezzo del latte non è solo economica, ma ha anche uno sfondo etico e morale non indifferente. Per ogni azienda agricola e zootecnica che chiude c’è un territorio che perde, non solo per l’incremento della disoccupazione (già elemento di primaria importanza), ma anche perché un’azienda zootecnica attiva garantisce la tutela e la salvaguardia dell’ambiente in cui la stessa opera. Questo, in sostanza, è il principio della protesta che si sta sollevando in tutta Italia, una protesta non troppo rumorosa ma destinata a farsi sentire. Gli allevatori oggi, per un litro di latte, ricevono la somma di 33/34 centesimi, una cifra addirittura inferiore ai costi medi di produzione, ma che poi quadruplica quando si va a comprare il latte al Supermercato. Secondo la Coldiretti è in atto un piano per far scomparire il comparto zootecnico; In una nota diramata alla stampa il direttore di Coldiretti Ragusa – Gianfranco Cunsolo– spiega che «la multinazionale francese Lactalis ha comprato i grandi marchi nazionali Parmalat, Galbani, Invernizzi e Locatelli ed è il primo gruppo del settore in Italia. L’industria ha deciso unilateralmente di tagliare i compensi per il latte alla stalla di oltre il 20 per cento in meno rispetto allo scorso anno, per gli allevamenti della Lombardia dove si produce quasi la metà del latte italiano, ed è quindi un punto di riferimento nazionale».
Da Nord a Sud la situazione è la stessa: il prezzo del latte riconosciuto oggi agli allevatori è inferiore a quello di venti anni fa e vengono proposti accordi capestro che fanno riferimento all’indice medio nazionale della Germania.
L’unica differenza è che in Sicilia, rispetto al nord, chiudono meno aziende perché – come ha affermato Alessandro Chiarelli, presidente di Coldiretti Sicilia- gli allevatori dell’isola hanno aspettative inferiori rispetto ai colleghi del nord e sono abituati a lavorare in condizioni economiche difficili.
«Non è accettabile – afferma Chiarelli (nella foto)- che il prezzo del nostro latte, unico per le sue ottime qualità, sia pagato agli allevatori allo stesso prezzo del latte di qualsiasi altra parte dell’Europa, non mi si può mettere alla stessa stregua il nostro latte con quello dell’est ad esempio». La differenza sostanziale tra due realtà come l’Italia e la Lituania, ad esempio, è che sì l’importo dato agli allevatori è uguale, ma nei loro supermercati il latte si trova a 40/50 centesimi in meno.
Perdono quindi i produttori e perdono anche i consumatori che acquistano il prodotto quattro volte più di quanto viene acquistato alla stalla. La richiesta di Coldiretti è quella di diminuire intanto la forbice tra il prezzo dato gli allevatori e l’importo finale del prodotto, facendo rientrare qualche centesimo in più nelle tasche dei produttori, soldi che si potrebbero ricavare magari diminuendo il costo di alcuni servizi e promuovendo una politica mirata all’incremento del commercio del prodotto italiano.
«La nostra intenzione – ha dichiarato il presidente di Coldiretti- è quella di continuare la protesta andando a parlare con gli allevatori e con i cittadini che devono essere sensibilizzati al riguardo». «La gente- sostiene il presidente di Coldiretti Siracusa, Pietro Greco– deve sapere che solo una busta di latte UHT (Ultra High Temperature) su 4, vendute in Italia, contiene latte italiano. Inoltre vengono utilizzati dalle industrie semilavorati di latte (cagliate, caseine e caseinati) di provenienza straniera, per produrre formaggi, yogurt e mozzarelle, spacciandoli per Made in italy. In Italia una mozzarella su 2 consumate in Italia è prodotta con cagliate straniere».
A Coldiretti è arrivata la solidarietà della Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), aderente a Confcommercio, che, tramite il presidente Lino Enrico Stoppani, annuncia di voler fare la propria parte al riguardo:«in Italia – dice Stoppani- ci sono quasi 100.000 bar tra cui 35.000 gelaterie da noi rappresentate che acquistano latte fresco e che preferiscono il prodotto italiano, meglio se da imprese a loro territorialmente prossime, per ragioni organolettiche e di sostenibilità ambientale. Insieme agli agricoltori dobbiamo creare una “rete” per la difesa del cibo di qualità e del buon vivere italiano. Se lo aspettano i consumatori che non mancheranno di apprezzare questo sforzo comune».
Qui non c’è in gioco solo la salvaguardia di migliaia di aziende zootecniche, ma c’è da difendere a denti stretti un prodotto davvero unico, c’è da tutelare quel Made in Italy di cui tanto si parla, ma molto poco si fa per tutelarlo, basti pensare che a fronte di una produzione nazionale di circa 110 milioni di quintali di latte sono circa 86 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente dall’estero, c’è il rischio concreto che il latte straniero possa per la prima volta superare quello tricolore. E per ogni milione di quintali di latte importato in più scompaiono 17mila mucche e 1.200 occupati in agricoltura.
Carmelo Riccotti la Rocca