Tutela della biodiversità e dell’identità territoriale: due principi che in modo semplice ed esaustivo delineano storia e profilo della pesca di Leonforte Igp, un prodotto di nicchia ‘made in Sicily’ che si è raccontato sotto i suoi aspetti meno conosciuti ovvero la tecnica di coltivazione ‘insacchettata’ e la tabella dei valori nutrizionali presso la sede di Aicig, a Roma, nel corso del convegno cui hanno partecipato, insieme a Giuseppe Liberatore, presidente di Aicig, Leo Bertozzi, segretario generale di Aicig, il presidente del Consorzio Pesca di Leonforte Igp, Carmelo Salamone, e il responsabile del Consorzio, Domenico Di Stefano.
Questo frutto definito tardivo, in quanto raccolto da settembre a novembre, è espressione di eccellenza di un sistema delle Dop e Igp che a livello europeo conta ben 1.336 IG food, di cui 284 soltanto in Italia tra Dop, Igp e Stg, cui si aggiungono altre 523 denominazioni Docg, Doc e Igt relative ai vini.
Numeri che attribuiscono al Belpaese il primato in termini assoluti di prodotti agroalimentari a Indicazione geografica riconosciuti dall’Ue con conseguente presa di coscienza di un forte legame tra prodotti e territorio di origine, ma anche il merito di favorire il sistema produttivo e l’economia del territorio e dare garanzia ai consumatori su tracciabilità e sicurezza alimentare, oltre a tutelare l’ambiente, gli ecosistemi e le biodiversità.
La Sicilia, in questo, rappresenta una vera eccellenza ed è una delle cinque regioni più importanti d’Italia per i prodotti certificati a Denominazione di origine protetta e Indicazione geografica protetta. Sono infatti 17 Dop e 12 Igp a garantirle un primato nazionale – è prima tra le Ig food italiane per numero di oli d’oliva registrati dalla Comunità europea (6) e seconda per prodotti ortofrutticoli (16) – portatore altresì di prospettive di ulteriore crescita in termini economici e occupazionali.
Gli ettari di superficie regionale destinati alle produzioni Ig food sono circa 18.000 ma la pesca di Leonforte non è una Igp che gioca il suo primato sulla quantità, bensì sulla particolarità della sua coltivazione, espressione più autentica di una tutela della biodiversità e di una identità territoriale ben definita.
“La pesca di Leonforte Igp – spiega il presidente di Aicig, Giuseppe Liberatore – è un esempio di come i fattori ambientali e umani, cioè la tecnica produttiva, determinino le caratteristiche specifiche del prodotto. Si tratta di fattori da tutelare, verificare e promuovere, compiti specifici del Consorzio di tutela. Il contesto associativo di Aicig permette di confrontare le specificità dei diversi prodotti e contesti produttivi, in modo da accrescere sempre più lo strumento dell’Indicazione geografica come valorizzazione del prodotto territoriale”.
La produzione media annua è di 400 tonnellate e di queste solo la metà o meno è destinata a diventare Igp. A coltivarla 20 produttori aderenti al Consorzio di tutela, mentre la distribuzione avviene per il 90% in Italia, soprattutto grazie a grandi catene della Gdo, tuttavia forniture sono state inviate altresì in Germania e, per la prima volta, a Dubai.
A rendere così particolare questa produzione – tipica della zona centrale della Sicilia ove si susseguono rilievi e vallate con aree pianeggianti e colline tra i 200 e i 1.000 metri slm e che comprende Leonforte ma anche Assoro, Agira, Enna, Calascibetta – è la tecnica di coltivazione ‘insacchettata’, nata negli anni Settanta per ovviare a un inconveniente fitosanitario: “La presenza della mosca mediterranea – racconta il presidente del Consorzio della pesca di Leonforte Igp, Carmelo Salamone – e la mancanza a quel tempo di trattamenti antiparassitari conosciuti per combatterla furono la chiave di svolta nella coltivazione di questo frutto, che non identifica una sola varietà ma tante vecchie varietà locali unite dal comune denominatore di maturare tardi”.
“Per proteggerlo, infatti, un imprenditore agricolo – ricorda – si inventò l’utilizzo di sacchetti di carta pergamena in cui avvolgerli: il buon esito di tale pratica sul mantenimento del frutto fu di ispirazione per tutti gli altri coltivatori e oggi rappresenta il tratto distintivo di questa pesca, oltre alla tempistica di raccolta che è tardiva rispetto alle altre cultivar di pesche italiane”.
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