5 Maggio 1972, Montagna Longa, Dc 8 classe 43 Antonio Pigafetta, impegnato sul volo AZ 112, 108 passeggeri più 7 uomini di equipaggio da Roma a Palermo. Morirono tutti, lasciarono 98 orfani e 50 vedove. Il perché quell’aereo si schiantò su un costone della montagna nei pressi di Punta Raisi, a 45 anni di distanza da quel tragico evento sono in molti a chiederselo. Se lo chiedono i familiari delle 115 vittime, se lo chiedeva Maria Eleonora Fais sorella di Angela, giovane cronista de “L’Ora” di Palermo che si occupava assieme al collega Giovanni Spampinato autore di diverse inchieste su malavita e neofascismo in Sicilia, ucciso ad ottobre dello stesso anno da Roberto Campria, esponente della destra eversiva siciliana, ma Maria Eleonora è morta lo scorso anno a febbraio, dopo essersi battuta una vita per una verità su quella strage che non ha mai trovato. Oltre ad Angela Fais a bordo dell’aereo che si schiantò a Montagna Longa c’erano anche i giornalisti Alberto Scandone e Francesco Crispi.
Il giudice Alcamo – Tra le vittime di quel volo Ignazio Alcamo, consigliere di Corte d’Appello, Presidente della sezione speciale misure preventive. Proprio in qualità di presidente di quella sezione, il giudice Alcamo aveva fatto partire qualche giorno prima la richiesta di soggiorno obbligato per il costruttore edile Francesco Vassallo e Antonietta Bagarella, sorella di Leoluca e moglie di Totò Riina.
Le ipotesi – Le indagini della magistratura avvalorarono la tesi dell’incidente. Da subito si è puntato sull’errore dei piloti, poi si arrivò a determinare un’altra ipotesi che non riguardava più l’eventuale errore umano o problema tecnico al velivolo, ma addirittura puntava dritto alla responsabilità del pilota. Secondo le indagini era ubriaco, cosa che l’autopsia e l’esame tossicologico sui corpi di entrambi gli ufficiali di bordo escludeva categoricamente.
Stefano Alberto Volo – Attorno a questa tragedia ci sono stati tutti i presupposti per renderla uno dei tanti misteri della storia del nostro Paese. Tante le stranezze e le coincidenze che alimentano questi dubbi. Perché nella lista dei passeggeri e quindi tra le vittime c’era Stefano Alberto Volo, ma solo sulla carta, perchè a suo dire all’ultimo momento decise di non partire per Palermo e restare a Roma, in seguito riferì di essere stato consigliato di non prendere quell’aereo. Stefano Alberto Volo è un’esponente di estrema destra coinvolto anche nella strage di Bologna, anni fa ad Eleonora Fais disse che Stefano Delle Chiaie esponente di Avanguardia Nazionale e vicino ai servizi segreti sapeva tutto di Montagna Longa.
I tanti perchè senza risposta – Perchè Franco Indovina, regista, assistente di Francesco Rosi, che cercava elementi per ricostruire vita e morte di Enrico Mattei, presidente dell’Eni, è stato trovato disintegrato? Di lui sono state trovate solo la protesi dentaria ed un documento di identità, mentre altri corpi sono stati trovati quasi integri. Perchè l’autopsia è stata fatta solo sui corpi dei due piloti? Perchè una borsa risultava dilaniata dall’interno, da cosa? Perchè il nastro della scatola nera è risultato strappato? Chi era la vittima il cui corpo non è mai stato identificato? Perchè quasi tutti i corpi furono trovati senza scarpe?
Rapporto Peri e gli intrecci tra mafia e neofascismo – Maria Eleonora Fais nel 1992 chiese all’allora Procuratore della Repubblica di Marsala Paolo Borsellino di cercare il rapporto fatto dal commissario Giuseppe Peri, capo della squadra mobile di Trapani. L’ipotesi dell’attentato infatti è confermata dal poliziotto con questo documento firmato in data 22 agosto 1977 con il quale denuncia 32 persone, capeggiate dal fascista Pierluigi Concutelli, che in combutta con la mafia avevano organizzato 4 sequestri di persona verificatisi fra gennaio e settembre 1975. Il 15 novembre del 1976 Peri segnalò alle Procure di Trapani e Marsala che i sequestri di Luigi Corleo, Nicola Campisi, Luigi Mariani ed Eugenio Egidio Perfetti, erano stati realizzati “per fini eversivi di autofinanziamento della criminalità politica di area neofascista con la collaborazione della delinquenza comune“. Per questi rapimenti e per altre azioni criminose, Peri indicava quali responsabili materiali i fascisti romani legati a Concutelli ed i mafiosi di Salemi che facevano parte della famiglia di Salvatore Zizzo.
Le ipotesi di Peri – Il commisario Peri inseriva il disastro aereo nella strategia della tensione in atto in quegli anni in Italia e che avrebbe in seguito portato anche ai tentativi di colpo di stato. Il capitolo più inquietante è dedicato alla sciagura di Montagna Longa. Un sabotaggio, ipotizza Peri, una strage voluta da quelle stesse forze terroristico-eversive che, in quegli stessi anni, stringevano il loro patto d’alleanza con la mafia trapanese. L’ipotesi della strage di marca fascista è sostenuta da alcune “oggettive circostanze”: il disastro si verificò alla vigilia delle elezioni politiche più travagliate dell’Italia repubblicana (non a caso, proprio in quella circostanza in Sicilia il Msi registrò un grande balzo in avanti…); i cadaveri di molti dei 115 passeggeri del DC8 erano praticamente disintegrati, come se quelle persone avessero trovato la morte in una tremenda esplosione piuttosto che in un violento urto; molti cittadini di Carini affermarono di aver visto un aereo in fiamme precipitare verso Montagna Longa. Un’esplosione a bordo, dunque, non un guasto ai motori avrebbe provocato la sciagura; con quella strage, l’eversione nera avrebbe ottenuto un duplice scopo: aggiungere un altro anello alla strategia della tensione (sono gli anni di piazza Fontana, dell’Italicus e di piazza della Loggia) ed eliminare un magistrato palermitano scomodo, il giudice Ignazio Alcamo. Le reazioni, alla inaspettata pubblicazione di un periodico locale, “Trapani Sera”, nell’ottobre del ’77, furono violentissime. L’atmosfera di cordialità e di grande attenzione con cui i vertici giudiziari e la questura trapanese avevano seguito l’inchiesta si dissolse d’un colpo.
Il Procuratore di Trapani Lumia liquidò la faccenda ritenendo la ricostruzione del vicequestore: «…non solo fantasiosa ma anche generica nonché priva di concreti elementi di prova». Molto meno diplomatico, il questore dell’epoca Aiello utilizzò tutti i suoi agganci ministeriali per ottenere un immediato trasferimento di Peri. Lamentò di non essere stato messo al corrente dal suo vice degli sviluppi che l’indagine andava assumendo.
Peri non aveva alcun obbligo giuridico di riferire al questore dell’esito dell’inchiesta, dovendone rendere conto soltanto all’autorità giudiziaria. E quando Aiello gli chiese di vedere il rapporto, citando antiche, benevole consuetudini, Giuseppe Peri gli rispose seccamente che quel rapporto lo avrebbe fatto avere soltanto alle Procure competenti. Nessuna eccezione, dunque, nemmeno per il signor questore. Probabilmente Peri non aveva agito così semplicemente per un eccesso di zelo. Aveva paura di quel rapporto, delle reazioni che avrebbe potuto provocare, del significato politico e giudiziario che fatalmente acquistava quella rilettura di sequestri, sciagure e delitti. Paura, probabilmente, anche di quegli «insospettabili, inseriti ai vertici dell’apparato statale» che rappresentavano, nel suo rapporto, il terminale occulto di cinque anni di violenze e di sangue.
Peri chiese una scorta, ma invece dell’auto blindata gli arrivò un telex del ministero che lo destinava con effetto immediato ad un incarico di burocrazia nella questura di Palermo. Ed a Palermo, l’ex vicequestore di Trapani sarebbe morto un paio di anni più tardi: giusto in tempo per vedere definitivamente archiviato il suo rapporto.
Il commissario non fece in tempo, invece, ad assistere all’esplosione del caso P2 e al ritrovamento dei tabulati del maestro venerabile Licio Gelli: avrebbe scoperto, nell’elenco dei piduisti, i nomi di Varchi e Cassata: il primo era il capo di gabinetto del questore Aiello a Trapani, e fu uno dei più accesi sostenitori del suo trasferimento “punitivo” a Palermo; l’altro, giudice istruttore presso il tribunale di Marsala, archiviò definitivamente il rapporto Peri.
Esercitazione militare – Di motivi per indagare a fondo sul disastro di Montagna Longa ce n’erano tanti. Giuseppe Casarrubea, scomparso nel 2015, profondo conoscitore delle vicende siciliane e nazionali ricordava che il 5 maggio 1972 nei cieli italiani era in corso un’esercitazione “Dawn Patrol” (ricognizione all’alba). Le foto ufficiali evidenziavano sulla carlinga del Dc 8 tracce di colpi che potevano essere la conseguenza dell’impatto, o forse la causa. Non è stata mai disposta una perizia per accertarlo. Come se una voragine avesse inghiottito tutte le risposte, lasciando solo le domande.
A 45 anni dalla strage di Montagna Longa, non ci sono risposte, non c’è un verità ufficiale. Ancora oggi i parenti delle vittime vogliono sapere il perché di quella tragica fine, troppo simile a quella delle stragi di Ustica, di Bologna e di tante altre avvenute in Italia in quel periodo e rimaste tra i misteri del nostro Paese.
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