Palermo – “L’economia italiana è allo stremo e, in Sicilia, l’economia, da sempre grande difficoltà, è oggi in stato comatoso. In queste difficilissime circostanze socio-economiche, la classe politica non riesce a dare risposte concrete ai bisogni dei cittadini, occupandosi prevalentemente di se stessa e, sempre più spesso sottraendo ricchezza al Paese, depredando nei più diversi modi, ed in questo la realtà supera spesso la fantasia, le risorse pubbliche che dovrebbero essere destinate alla crescita”. Lo ha detto Luciana Savagnone, presidente della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana, aprendo, nell’Aula magna della Scuola di scienze giuridiche ed economico-sociali di Palermo l’anno giudiziario 2014.
“La corruzione della classe politica è dettata solo da un’incontrollata smania di ricchezza e di potere” ha detto ancora Luciana Savagnone.
Un fenomeno quello corruttivo “detestabile e biasimevole” dal punto di vista morale, ma anche “concausa dell’impoverimento dell’intera nazione”. In Sicilia, poi, la corruzione “spesso lambisce e si intreccia con gli interessi dell’universo mafioso, ma anche quando è del tutto estraneo ad esso, in qualche modo, lo favorisce. I reati di corruzione – spiega Savagnone- anche quelli apparentemente di scarso rilievo, rendono più fertile il terreno su cui si sviluppa e cresce la delinquenza mafiosa, attraverso il perseguimento di interessi economici comuni, connivenze, reciproche protezioni”.
“È indispensabile – ha spiegato ancora presidente della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti della Regione siciliana, Luciana Savagnone – che la politica e la Pubblica amministrazione imparino ad amministrare e gestire se stesse, curando, attraverso un rigoroso controllo interno, il rispetto delle norme e delle regole che governano la loro attività, anticipando, se possibile, gli interventi da parte della magistratura, così da riacquistare credibilità nei confronti della cittadinanza”.
Per Savagnone è necessario evitare che “un amministratore, una volta accertata la commissione da parte sua di un illecito, venga confermato nelle funzioni o gli sia conferito altro incarico, così come il pubblico dipendente infedele dovrebbe essere rimosso”.
“Assistiamo invece – conclude il presidente della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti – al moltiplicarsi degli sprechi di denaro, spesso da parte di soggetti già condannati, che invece di essere posti in condizioni di non nuocere più al pubblico erario, vengono ancora una volta incaricati di gestire le risorse economiche”.