Alcuni sono arrivati qui quando c’erano solo campi coltivati a carciofi. Pionieri dell’industria nella piana dell’Imera, quando ancora la Fiat andava a manetta e faceva il paio con la centrale Tifeo dell’Enel. Sono passati, in qualche caso, quasi quarant’anni e alcuni imprenditori sono ancora qui. Nel frattempo altri ne sono arrivati fino a costituire un nucleo forte di piccoli resistenti dell’area industriale di Termini Imerese.
C’è, tra questi, anche chi ha lavorato per la Fiat ma c’è chi fa altro: piccole o piccolissime aziende ma molto forti sul piano del know how e dei mercati. Una sessantina in tutto che danno lavoro a poco più di seicento persone. Pochi se si considerano i 2.200 del polo Fiat rimasti senza lavoro dopo l’addio della fabbrica torinese. abbastanza se si considera la fame di lavoro di quest’area. C’è anche chi lavorava per il Lingotto e ha continuato a farlo ma in Serbia: “La scelta – spiegano – era tra andare o chiudere”. Hanno scelto di andare. Lasciando qui la sede legale dell’azienda ma creando joint venture con i serbi. Termini resta in attesa che venga definita la questione sull’investimento di Dr Motor e dunque degli operai. Ma nel frattempo le aziende sono sotto pressione continua da parte del fisco che continua a mandare cartelle di pagamento, sotto scacco delle banche che applicano interessi “sui fidi – spiega un imprenditore – tra il 6 e il 7% e si rifiutano di concedere extrafidi”. Anche gli imprenditori sono al limite della sopportazione, come racconta il parroco di Termini don Anfuso, consigliere spirituale degli operai ma anche degli imprenditori: “L’altra notte – ha raccontato – sono stato fino alle due a convincerne uno ad avere speranza”. Voleva farla finita. Di più don Anfuso non dice ma dalle sue parole si capisce che il disagio nell’intera area di Termini Imerese è veramente tanto: “La depressione è diventata una costante”.
Ma anche la rabbia. Come quella di Nino Aiello, titolare della MetalSud, specializzato in impiantistica e insediato nell’area industriale di Termini Imerese sin dal 1985: lavorava per la Fiat, nel settore manutenzioni, e per un certo periodo ha avuto anche 17 dipendenti. “Oggi – dice – siamo in dieci: tre hanno un contratto a tempo indeterminato, 4 un contratto a termine e due impiegati hanno contratto part-time. Oggi non c’è più Fiat, Enel non fa più gli investimenti di un tempo e una buona parte dell’area industriale si è trasformata in un grande insediamento commerciale. E ci si mettono anche le grandi aziende che arrivano a creare altri problemi: abbiamo fatto lavori per il general contractor che ha lavorato al raddoppio ferroviario ma ancora non ha pagato. E’ un cane che si morde la coda: loro non incassano e non pagano. Non paga più nessuno”. Così rischia di morire l’imprenditoria che c’è in attesa che arrivi quella che è stata cercata con avvisi e procedure di ogni genere. Chi è rimasto, come Agnello, deve fare i conti con iniziative considerate un po’ bislacche dagli imprenditori e portate avanti da ciò che resta del Consorzio Asi: “Hanno venduto i tetti degli stabilimenti a due euro a metro quadrato – dice Agnello – a un’azienda che vi farà impianti fotovoltaici”. E’ un modo piuttosto semplicistico di raccontare una iniziativa che in verità è più complessa ma dà l’idea del rapporto che questi imprenditori hanno con l’istituzione a loro più prossima: “Dovrebbe occuparsi dello sviluppo…” dice guardando una cartella di pagamento di 850 euro appena arrivata. Il fatturato di questa azienda è passato da 1,5 milioni del 2010 a un milione del 2011 mentre il 2012 chiuderà a 600mila euro: ogni anno una perdita del 50% del giro d’affari. Agnello non si dà per vinto e punta sulla ricerca per provare a trovare nuove strade: “Partecipiamo insieme ad altre due aziende a una ricerca con l’università per brevettare una nuova macchina per l’imbottigliamento. Noi abbiamo investito 200mila euro”. Ci vuole coraggio in un’area in cui non c’è linea Adsl, non c’è il metano, e la logistica è molto complessa. Ma qui sono nate anche imprese figlie della ricerca e dell’innovazione. Come l’Idea creata da Fabio Montagnino insieme alla Biosurvey che è uno spinn off dell’università di Palermo: Montagnino aveva rilevato la Fist, impresa in liquidazione che lavorava per Fiat, e sulle sue ceneri ha creato Idea che con Biosurvey ha realizzato un tutore in bioplastica per la piantumazione della posidonia oceanica. Sebastiano Calvo, capo dell’unità di ricerca della Biosurvey spiega: “La Posidonia è una pianta marina che costituisce una sorta di foresta pluviale del Mediterraneo. In uno studio apparso alcuni anni fa su Nature viene valutato il valore economico dei servizi ecosistemici delle fanerogame marine (di cui fa parte la Posidonia) in 20 mila dollari per ettaro. Questo valore è una media, nel caso della Posidonia deve essere aumentato di tre-quattro volte”. Sempre nell’area di Termini Imerese potrebbe essere messo in produzione un impianto per il microeolico che è stato sperimentato nei laboratori dell’Arca, l’incubatore di imprese dell’Università palermitana. Tra mille difficoltà sembra evidente una dinamica di cambiamento.
Servono interventi, dicono tutti, per creare infrastrutture: “Gli imprenditori, quelli seri, che vogliono investire chiedono cose che qui non ci sono – dice Alessandro Albanese, proprietario di un’azienda insediata in quest’area, ex presidente del Consorzio Asi e oggi al vertice di Confindustria Palermo -. Una infrastruttura è sicuramente l’interporto. I fondi, per un totale di 80 milioni, ci sono, l’appalto è stato avviato ma non vi è l’aggiudicazone e la Regione si è impegnata a risolvere con l’Ue i problemi che riguardano la procedura di infrazione per aiuti di Stato”. Le resistenze da parte dell’Ue sono forti e l’opera oggi rischia il definanziamento. Ma l’interporto è solo un pezzo del tutto: l’Accordo di programma firmato più di un anno e mezzo fa prevede interventi per la sistemazione del porto, sul fronte ferroviario, per la realizzazione delle reti di metano e fibra ottica. La regione ha messo i soldi (150 milioni) ma nulla è ancora partito: “Mancano i progetti esecutivi – spiega l’assessore alle Attività produttive Marco Venturi – gli enti devono farli e poi arrivare a bandire le gare. Noi abbiamo fatto tutto ciò che doveva essere”. “Qualcosa si sta muovendo – dice il sindaco di Termini Imerese Totò Burrafato -. Finora non era possibile fare alcunché”.
C’erano i fondi ma non era possibile spenderli per una complessa questione legislativa che è stata risolta con l’ultima legge finanziaria. Se partissero questi lavori sarebbe un bel segnale per l’area di Termini e per tutta la Sicilia. A prescindere dalla costruzione di automobili. Mentre gli imprenditori, di fronte alla richiesta di proroga da parte di Massimo Di Risio che dice di essere in trattativa con quattro partner, chiedono che i fondi destinati alla Dr vengano dati a chi è già sul territorioo e che si aiuti chi realmente crea lavoro a Termini Imerese e non chi promette ma non è detto sia in condizione di mantenere la promessa.
Be First to Comment