Sulla monarchia borbonica storici come Benedetto Croce e Rosario Romeo, pur da diverse posizioni, diedero un giudizio impietoso, abbattendo ogni illusione sulla vantata bontà e indicandone la fine necessaria. Al di là delle valutazioni positive o negative o morali, dopo quella stagione si è aperta una riconsiderazione storica del sistema istituzionale e politico borbonico nel suo insieme e nuovi cantieri di ricerca hanno condotto a uno studio rinnovato della prima metà dell'Ottocento anche in Sicilia. Come è noto siamo nel cuore di un periodo storico nel quale in Sicilia si plasmano processi importanti: la vicenda costituzionale, l'abolizione del sistema e delle giurisdizioni feudali, la totale riorganizzazione delle magistrature amministrative e giudiziarie rivoluzionava nel giro di pochi anni, tra il 1812 e il 1819, l'intera struttura politico amministrativa dello Stato e portava a conclusione l'opera di Ferdinando di Borbone di parificazione delle due parti di quello che oramai costituiva il Regno delle Due Sicilie lungo le linee del modello francese e napoletano. In particolare tra le più importanti riforme vi fu l'affermazione del criterio censitario nella formazione dei sistemi elettorali dei comuni siciliani.
Proprio il tema elettorale ha attratto molta della recente attenzione della storiografia interessata alla definizione dei confini sociali delle nuove élites politiche e delle borghesie urbane la cui formazione era l'esito, insieme, delle riforme amministrative e delle trasformazioni delle attività economiche e produttive in atto anche nell'isola. Il nodo centrale è stato quello della 'scoperta della politica' nella società locale e delle sue interazioni con le istituzioni centrali e sovralocali. Una politica che in Sicilia assumeva spesso i toni cupi e faustiani della conflittualità e della violenza politica: la modernizzazione, la strada per la contemporaneità passava attraverso la vischiosità del peso di faide, fazioni, parentele e clientele nella costruzione dello Stato.
A questi temi già frequentati negli anni Ottanta, Giovanna Fiume, dopo gli studi sulle bande armate in Sicilia tra 1819 e 1849 e diverse ricerche sulla storia ottocentesca di Marineo, ritorna ora con un libro dal titolo fortemente esplicativo: Le regole del gioco. Liste di eleggibili e lotta politica a Marineo (1818-1859). Al centro del libro, appunto, le nuove regole del gioco (per dirla in breve il passaggio dal ceto al censo) innestate dalle riforme borboniche nel corpo antico della realtà siciliana. Che implicazioni ebbero e come furono percepite e rielaborate dalla società locale? Che conseguenze ebbero sui meccanismi di competizione politica e amministrativa? E sulla conflittualità di cui è segnata tanta parte delle vicende politiche siciliane?
Assumendo una città della Sicilia occidentale, Marineo, come case study e le liste degli eleggibili, ivi compilate tra il 1819 e il 1859, come fonte privilegiata (ma non solo) attraverso cui studiare, come scrive «la formazione e la modificazione dell'area del potere locale, la trasformazione in élite del vecchio nobilato, l'uso della risorsa politico-amministrativa nei processi di mobilità sociale, l'importanza della scala locale e la sua stretta interazione con le dimensioni sovralocali, statali, se si vuole, e non ultimo l'intervento degli individui, delle famiglie, dei gruppi politici nella manipolazione di questa interazione e nella produzione della stessa rappresentazione culturale del potere locale», Giovanna Fiume prova a dare risposte a queste domande.
Dunque scala di osservazione e documentazione modellano la sua ricerca. Assistiamo, leggendo le pagine del libro, a una costruzione progressiva dell'oggetto di analisi in un collegamento continuo con i protagonisti, gli attori sociali, gli avvenimenti e le rappresentazioni. Non vengono mai usate catagorie interpretative generali per suggerire piuttosto le ipotesi attraverso la presentazione prima e la decostruzione poi dei dati e il susseguirsi delle vicende raccontate.
Dal mio punto di vista vorrei focalizzare alcuni importanti aspetti di questo libro.
In primo luogo l'uso delle fonti e in particolare delle liste degli eleggibili. Fonti già studiate tra gli anni Ottanta e Novanta da storici come E. Iachello, A. Signorelli, P. Pezzino e A. De Francesco, e che sono in grado di fornirci per ogni comune siciliano molte informazioni (nomi degli allistati, età, grado di alfabetizzazione, mestiere e professione, rendita annua, e spesso anche le parentele) e da cui trarre un quadro sull'élite riconosciuta come tale. Quali sono per Giovanna Fiume le caratteristiche e le peculiarità di queste fonti? Tra la definizione delle liste come immediatamente rivelatrici dell'area del potere locale, o viceversa come indici degli scontri tra le élites locali e l'amministrazione statale o ancora come fotografia degli equilibri politici di ogni comune, la Fiume, pur riconoscendone come dato inequivocabile la natura politica, le considera esse stesse il prodotto di un conflitto di leggitimazione: i nostri attori sono animati dal fine pratico di farsi riconoscere come membri dell'élite politico-amministrativa. Ma fa un passo in più. Questo approccio valorizza il momento della redazione della lista, della trascrizione recuperando a questo livello il ruolo del centro. Scrive Giovanna Fiume: «con ciò voglio affermare il carattere tutto negoziale di questi documenti, i cui dati statistici sono stati elaborati con un certo disincanto nei riguardi della loro capacità di ricostruzione oggettiva degli elementi considerati». Le liste degli eleggibili non sono dunque una fotografia oggettiva della realtà. In più, esse tradiscono, anche sul terreno dei loro specifici criteri, una notevole 'imprecisione e incompletezza'. La loro compilazione non avviene sulla base di 'accertamenti documentari' piuttosto, spesso, questi sono discrezionali. Alcuni dati sono 'grezzi' e approssimativi'. Le liste dunque sono un campo di battaglia risultato dell'interazione tra i diversi protagonisti (l'intendente, la commissione comunale che li compila e gli individui e gruppi sociali che vi vengono allistati), la cui redazione è parte non secondaria dei meccanismi elettorali.
In secondo luogo come, il processo di 'sperimentazione elettorale' che avviene a Marineo nella prima metà dell'Ottocento, sulla base alle nuove regole del gioco, descritto da Giovanna Fiume attraverso l'individuazione e lo studio analitico di parole chiave che corrispondono a loro volta ai criteri e requisiti con i quali vengono composte le liste – dalla cittadinanza all'età, dai mestieri alla rendita, dalle cariche alle parentele – lascia intravedere realtà sociali, politiche, economiche a cavallo tra 'civiltà cetuali di antico regime e civiltà individualistico proprietarie'. Il passaggio dal suddito al cittadino è ancora lungo. L'esito di questo processo a Marineo, come altrove in Sicilia, sarà la modernizzazione di un dominio notabilare nato dalle nuove regole dell'amministrazione borbonica che spoglia di valenza politica il servizio nell'amministrazione (ora burocrazia) e spinge il potere locale verso la via della cospirazione e della violenza fazionaria. Scrive a questo proposito la Fiume «suggerisco, anzi, di leggere la violenza della prima metà dell'Ottocento come il prevedibile esito della competizione innescata dalle nuove forme di organizzazione amministrativa: più che il residuo del sistema vecchio 'feudale' sembra trattarsi della risposta alla modernizzazione del meccanismo di reclutamento dell'élite». Tuttavia sottolinea questo processo va studiato caso per caso e dunque «perchè a Naro non si scannano?».
Il libro di Giovanna Fiume riapre dunque il discorso storico sull'esperienza elettorale della prima metà dell'Ottocento in Sicilia e sul significato della politica in questa fase di transizione dall'antico regime alla contemporaneità, ma chiunque lo legga non può non trovarvi suggestivi spunti e motivi di comparazione con le nostra attuale realtà.