L’undici agosto scorso l’Assemblea regionale siciliana ha approvato la nuova legge in materia di risorse idriche con il chiaro intento di farne un manifesto della rinverdita filosofia benecomunista avversa al mercato e all’iniziativa privata, senza preoccuparsi neanche un po’ tuttavia di predisporre una disciplina giuridica adeguata alle gravi ed impellenti necessità dell’Isola.
Tra i principi e le finalità della nuova legge l’articolo 1 non manca di annoverare affermazioni solenni che tradiscono un’impostazione ideologica radicale quali quelle che l’acqua è un bene pubblico estraneo a finalità lucrative, un patrimonio da tutelare per l’alto valore ambientale, culturale e sociale il cui utilizzo “ è un diritto umano individuale e collettivo, non assoggettabile a ragioni di mercato…”.
Come se non bastasse la gestione del servizio idrico, secondo le nuove disposizioni, deve essere sottoposta ad un governo “pubblico e partecipativo” in grado di garantire “un uso della risorsa rispettoso dei criteri di sostenibilità, solidarietà, equità sociale ed efficacia”. Essa deve essere affidata in via prioritaria al carrozzone inefficiente e spendaccione della pubblica amministrazione, mentre l’affidamento al mercato può avere luogo solo previa verifica dell’autorità pubblica della sussistenza di condizioni di migliore economicità dell’affidamento al settore pubblico e per un periodo non superiore a nove anni, lasso di tempo durante il quale nessun’impresa privata sarebbe in grado di rientrare dagli ingenti investimenti necessari per ammodernare le infrastrutture idriche siciliane.
La furia ideologica sfiora il ridicolo al comma 4 dell’art. 4 dove si legge che nell’ipotesi di affidamento del servizio idrico ad un’impresa privata il bando di gara deve prevedere, a pena di nullità, che “ le condizioni economiche dell’affidamento non possano mutare per tutta la sua durata rimanendo a carico dell’affidatario anche gli oneri relativi ad eventuali varianti, per qualsiasi causa necessarie, ove funzioni all’espletamento del servizio”.
L’affidamento al mercato deve essere scongiurato in ogni modo, cosicché se il servizio gestito dal privato dovesse subire interruzioni per più di quattro giorni il contratto verrebbe risolto immediatamente, mentre interruzioni per più di un giorno sarebbero sanzionate con penali di importo compreso da 100.000 e 300.000 euro per ogni giorno di inadempimento. Se invece a creare disservizi (di qualsiasi natura ed entità) dovesse essere il gestore pubblico le tariffe a carico degli utenti verranno semplicemente ridotte proporzionalmente.
A completare l’opera propagandistica la previsione dell’articolo 10 secondo la quale 50 litri di acqua potabile al giorno sono considerati diritto umano e quantitativo minimo vitale garantito che deve essere assicurato a tutti, anche a coloro che pur morosi si trovino in condizioni economiche disagiate.
Un testo di legge, o solo propaganda benecomunista e populismo a buon mercato?
Rocco Todero – Articolo apparso su Il Foglio