Last updated on 2 luglio 2021
“Una cosa va detta subito: il bicchiere è mezzo pieno, anzi di più”. Costantino Visconti, docente di diritto penale e di legislazione antimafia all’Università di Palermo, fa un bilancio sulle norme in tema di contrasto alle organizzazioni criminali approvate fin qui.
Professore, recentemente lei ha partecipato alla presentazione della proposta della Fondazione Progetto legalità di modifica e integrazione della norma sul reato di scambio.
Sì: la proposta è di integrare l’articolo 416 ter (voto di scambio) con quella parte di norma che a suo tempo, si era subito dopo le stragi del ‘92, non si riuscì ad approvare.
Codice antimafia a parte, negli ultimi anni sono state approvate leggi che hanno dato qualche problema a Cosa nostra e alle mafie in generale. In questo caso al governo c’era il centrodestra.
E’ vero. le novità più rilevanti hanno per oggetto l’applicazione disgiunta del sequestro ovvero la possibilità di sequestrare ai mafiosi il patrimonio anche in assenza di una misura personale. Così come non va dimenticata l’altra norma che prevede il sequestro dei beni agli eredi dei mafiosi purché sia disposto entro i cinque anni dal decesso.
Il procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso ha detto che grazie ad alcune misure è stato possibile sequestrare beni per 40 miliardi in tre anni.
Non dispongo di questi dati, ma tutti sono concordi nel rilevare che negli ultimi anni v’è stato un considerevole incremento di sequestri e confische grazie all’intensificazione qualitativa e quantitativa delle attività di indagine da parte di magistratura e forze di polizia. Al di là della rilevanza di questa o quell’altra misura, un aspetto va comunque va tenuto in considerazione: tanto impalpabile quanto decisivo.
Parliamone.
C’è un risultato positivo che è tutto culturale e riguarda l’introduzione del Codice antimafia. D’ora in poi, infatti, non possiamo non occuparci dei patrimoni mafiosi se non in termini “sistemici”, affrontando cioè l’intera “filiera”: dall’acquisizione dei beni illeciti, alla loro gestione, fino alla destinazione finale.
Tutto bene dunque?
Certo che no. Il varo del Codice antimafia poteva costituire il momento magico in cui si colmava quel bicchiere mezzo pieno, ma prima il Parlamento e poi il governo non hanno saputo sfruttare fino in fondo questa occasione storica. Per fare qualche esempio: da anni chiedevamo a gran voce una disciplina per la tutela dei terzi in buona fede nelle procedure di confisca al fine di evitare ricadute negative della lotta ai patrimoni su persone e aziende incolpevoli; con il Codice antimafia la disciplina è finalmente è arrivata ma per come è congegnata rischia di determinare effetti paralizzanti sull’intero sistema. Così come chiedevamo di velocizzare le procedure, magari con l’introduzione del Tribunale unico specializzato in misure patrimoniali penali e di prevenzione, e invece ci si è limitati a introdurre la “confisca breve” (ossia l’obbligo di procedere al decreto ablativo entro 18 mesi), che di per se rischia di mandare al macero migliaia di procedimenti. Bastava riflettere un po’ di più e … ascoltare gli esperti del settore e oggi avremmo a disposizione una cornice legislativa senza le contraddizioni che invece siamo costretti a constatare. Insomma, rimangono tante cose da sistemare e le correzioni sono necessarie e urgenti come è evidente leggendo le 23 proposte che abbiamo presentato qualche mese fa insieme a magistrati ed esperti al ministro della Giustizia.
A proposito di patrimoni sequestrati ai mafiosi recentemente Antonello Montante, delegato alla legalità di Confindustria, ha proposto di rendere più efficiente il sistema con alcuni interventi. Lei che ne pensa?
L’aspetto che mi pare più interessante è la necessità di trapiantare cultura manageriale nella gestione delle aziende sequestrate e confiscate. Credo che in questa direzione è utile avvalersi di manager veri e propri magari affidando loro consulenze nell’ambito dell’amministrazione giudiziaria, ad esempio per la stesura di quel business plan che va presentato entro i primi sei mesi dal sequestro. E poi bisogna scommettere sull’alta formazione degli amministratori giudiziari: proprio nei prossimi giorni l’Università di Palermo insieme alla Cattolica di Milano, la Procura nazionale antimafia, l’Agenzia nazionale e le autorità giudiziarie milanesi presenteranno il Corso per amministratori giudiziaria che si terrà a Milano in autunno sulla falsariga delle due edizioni realizzate a Palermo.
Continuiamo dunque con il bicchiere mezzo pieno. Anzi quasi pieno.
Non v’è dubbio. Se solo riusciamo ad allungare lo sguardo verso un arco di tempo che va dalla legge Rognoni-La Torre nel 1982 fino ad oggi, ci rendiamo conto che il nostro paese ha una legislazione antimafia avanzatissima che non a caso altri paesi prendono a modello
Ancora cose buone. Sempre per tener fede al bicchiere mezzo pieno…
Sì, perché abbiamo strumenti che erano inimmaginabili fino a 30 anni fa e questo va detto con chiarezza soprattutto ai giovani che non devono generare una visione distorta e frustante secondo la quale i nostri eroi sono morti invano. Strumenti di intervento che spaziano da un settore all’altro, come le norme che prevedono lo scioglimento dei municipi infiltrati dalle mafie. O la stabilizzazione del 41 bis, nonché il doppio binario per i processi: quelli alla criminalità organizzata hanno regole ad hoc. O, ancora, la recente introduzione dell’articolo 391 bis c.p. con il quale sono previste pene severissime per chi consente lo scambio di notizie tra i boss in carcere e l’esterno. Insomma la legislazione italiana è straordinariamente moderna, anche se vive una condizione simile a quella di Achille e la tartaruga nel paradosso zenoniano: un inseguimento continuo nella ricerca di strumenti in grado di colpire le mafie che cambiano.
Ma se così stanno le cose perché, per citare il titolo di un libro che porta la firma di due magistrati molto bravi come Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino intervistati da Gaetano Savatteri, è stato possibile il contagio nelle regioni che sembravano immuni dalle mafie?
Perché nel nostro paese sembra scorrere carsicamente una domanda, dal sud al nord, di quell’attività che fa parte del core business delle mafie: l’intermediazione parassitaria. Una intermediazione parassitaria che fa saltare le regole del mercato, la competizione meritocratica, e che è una subcultura di cui il nostro paese ancora si nutre. Lo storico Salvatore Lupo la definisce “il bisogno di mafia”.
Recentemente dopo la sentenza della Cassazione che ha riformato la sentenza d’Appello a carico del senatore Marcello Dell’Utri si è fatto aspro il dibattito sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Lei sul punto ha una posizione particolare.
Io sostengo che si tratta di un reato che va tipizzato legislativamente, sollevando la magistratura dall’onere di selezionare le condotte punibili esponendosi così a continue polemiche. E sostengo pure che non può essere un atto di fede: c’è il rischio che ci si abbracci mortalmente al concorso esterno trascurando altri strumenti utili a intervenire con efficacia e dare buoni risultati in termini di bonifica o prosciugamento dell’area della contiguità.
Per esempio?
Nel caso di attività economico-imprenditoriali, c’è uno strumento molto importante come la sospensione temporanea (che oggi ritroviamo all’articolo 34 del Codice antimafia con il titolo di amministrazione giudiziaria): consente di passare ai raggi X le aziende in cui sono state riscontrate forme di commistione con la criminalità organizzata, senza necessariamente sequestrare o confiscare. Il successivo controllo giudiziario ne consente il riallineamento sui binari della legalità e quindi della separatezza con il mondo mafioso e la ricollocazione nel libero mercato.
A proposito di “voglia di mafia” e di infiltrazioni mafiose in azienda, non va sottovalutata la novità che riguarda il decreto legislativo 231/2001.
Già. Il secondo pacchetto sicurezza del 2009 ha inserito tra i reati presupposto della responsabilità da reato degli enti anche i delitti di mafia. Ciò significa che si dà l’opportunità alle imprese di dotarsi di modelli di organizzazione e gestione che realizzino in house la prevenzione contro la criminalità. Mi piacerebbe riscontrare un adeguato attivismo su questo fronte del mondo delle imprese: aspettiamo con fiducia!
Abbiamo anche le norme stringenti sul riciclaggio ma non siamo ancora riusciti ad ottenere dal Parlamento una norma sull’autoriciclaggio.
Ci arriveremo. Ripeto: il bicchiere è mezzo pieno.
Be First to Comment