Desta sorpresa e polemiche l’assegnazione di circa 50 milioni in attuazione dell’art. 37 dello Statuto del dimissionario Governo Monti, presentato dal Presidente della Regione come una ‘conquista storica’, ma che diversamente, anche per alcuni autorevoli esponenti di sinistra, sembra solo un escamotage per sbloccare il bilancio regionale, di cui non si conosce il contenuto, neanche a 15 giorni dal termine ultimo di approvazione.
Ma vediamo meglio.
L’art. 37 – una delle più innovative dello Statuto – prevede che le imprese industriali e commerciali che hanno la sede centrale fuori del territorio della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, versino le imposte in Sicilia per la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi.
L’applicazione della disposizione fa parte del negoziato sull’autonomia finanziaria ed il federalismo fiscale (con corrispondenza tra risorse e funzioni trasferite dallo Stato alla Regione) che il precedente Governo regionale ha portato avanti sino alla sua imminente conclusione, e che vale oltre 9 miliardi di euro, dei quali il gettito previsto dall’art. 37 corrisponde a circa 250 milioni.
La norma inserita nel decreto del Governo Monti, e che ha incontrato l’entusiasmo di Crocetta, è inadeguata (ed incostituzionale), non tanto perché genera un gettito davvero insufficiente (e comunque non determinante per far fronte alle note difficoltà finanziarie del bilancio 2013), ma perché rappresenta una vera e propria violazione dello Statuto e mortificazione dell’autonomia.
Per un verso, infatti, il Governo nazionale si limita a riassegnare alla Sicilia ciò che essa già oggi percepisce o di cui dispone in base alla legislazione vigente.
In altre parole: questa ‘storica’ (in)attuazione dell’art. 37 da luogo solo ad un’operazione contabile che consente di utilizzare per spesa corrente quel che era destinato ad investimenti, intaccando, addirittura, somme in atto trasferiteci dallo Stato ex art. 38 dello Statuto, a titolo di solidarietà nazionale, e svuotando questa previsione della pur limitata dotazione finanziaria.
Insomma, è come se ci dessero il premio di rendimento finanziandolo con il 10% prelevato forzosamente dallo stipendio, e spiegando che hanno riconosciuto un diritto….sic!
Ma c’è di più.
In base a questa normativa, verrano trasferite alla Regione anche nuove funzioni, la cui spesa dovremo, così, sostenere con risorse per investimenti (ex art. 38). In questo modo, i soldi destinati ad investimenti sono “distratti” dal vincolo di destinazione ed immessi nel calderone del bilancio regionale dove prepondera la spesa corrente, per essere, tra tre anni, utilizzati per le funzioni oggi svolte in Sicilia dallo Stato (sanità carceraria, pensioni civili e di invalidità, etc).Sotto questo profilo, oltre che “non conveniente” per la Sicilia, la norma e’ incostituzionale poiché in contrasto con lo Statuto (finanzia l’art.37 con le risorse dell’art.38), Statuto che ha voluto chiaramente distinguere il finanziamento delle funzioni trasferite dallo Stato da quelle per la perequazione infrastrutturale ed il superamento del divario economico, sempre più grave, tra nord e sud e con lo stesso art.119 Cost.
Peraltro, il negoziato sul federalismo fiscale, avviato dal Governo regionale due anni fa, e non si comprende perché non concluso dal successivo, viene così vanificato attraverso questa ‘elemosina’ di una sola delle poste di una trattativa ben più ampia. Così si accetta una vera e propria svalutazione dell’autonomia, che colloca le relazioni finanziarie tra Stato e Regioni al di fuori delle procedure negoziali previste dallo Statuto (commissione paritetica) e dalla normativa (l. 42/2009), lasciandole così alla discrezionale ed unilaterale assegnazione dello Stato, e per di più con decreto- legge.
Mentre le altre regioni speciali hanno definito l’attuazione della loro autonomia finanziaria (le tre del nord già compiutamente, mentre la Sardegna e’ ormai prossima alla conclusione), la Sicilia rompe, così, quell’unitarietà di relazione finanziaria delineata dallo Statuto e confermata dalle regole sul federalismo fiscale.
Last but not least, deve evidenziarsi la totale emarginazione dell’Ars da un dibattito così rilevante come quello sull’attuazione dello Statuto. Il precedente Governo ha avviato il negoziato con lo Stato sulla base di un ordine del giorno approvato all’unanimità dal Parlamento. Adesso l’attuazione del federalismo sembra ridotta ad una qualsiasi questione amministrativa da risolvere con qualche “postulazione” a Roma.
In tali condizioni, questa (presunta) attuazione dell’art.37 non solo e’ inutile, ma anche dannosa, rompendo l’impegno – che aveva assunto il Governo nazionale (Monti, ma prima lo stesso Berlusconi) col Governo Lombardo – di definire in tempi brevi, anche per la Sicilia, il trasferimento di risorse e funzioni connesse all’autonomia finanziaria ed al federalismo fiscale.
Insomma, una pericolosa soluzione per raccattare, ‘alla bisogna’, risorse per un bilancio che non c’è, utilizzando il valore dello Statuto e, non senza paradossi, celebrandone l’applicazione.
Ricorda tanto quella ‘impostura’, si usa dire fake oggi, che ha reso celebre l’Abate Vella – artefice della storica e certamente meno dannosa ‘minsogna saracina’ – straordinario protagonista del Consiglio d’Egitto di Sciascia, ma che dopo i primi fasti, ben presto fu svelata.