Last updated on 28 febbraio 2021
La Sicilia finalmente torna a crescere. Il 2015 è stato un anno “eccezionale per il Mezzogiorno”: ha interrotto sette anni di cali del prodotto e “ha realizzato una crescita maggiore di quella del Centro-Nord”, il +1% contro il +0,7%. Lo afferma lo Svimez nelle anticipazioni del rapporto 2016. “Purtroppo le condizioni che hanno portato a questi risultati appaiono difficilmente ripetibili nei prossimi anni”, per l’associazione che prevede nel 2016 una crescita del Pil italiano dello 0,8%, come nel 2015, con il Sud che frena al +0,3% e il Nord che accelera al +0,9%.
Svimez nelle anticipazioni del Rapporto 2016 indica che la Basilicata, grazie soprattutto all’automotive, ha il ritmo più intenso di crescita (+5,5%). il Molise registra +2,9%, l’Abruzzo +2,5% sulla spinta dell’industria, la Sicilia e la Calabria, per l’eccezionale performance dell’agricoltura, crescono rispettivamente dell’1,5% e dell’1,1%. Molto più contenuta (solo lo 0,2%) è la partecipazione alla ripresa di Campania, Puglia e Sardegna, per la presenza di alcune crisi industriali. “L’apparato produttivo meridionale sopravvissuto alla crisi sembra essere in condizioni di restare agganciato allo sviluppo del resto del Paese e manifesta una capacità di resilienza”, commenta l’associazione che nel Mezzogiorno “rileva la presenza di un gruppo di imprese dinamiche, innovative, con un grado elevato di apertura internazionale e inserite nelle catene globali del valore”.
Un 2015, tra l’altro, che non è riuscito a recuperare tutto ciò che il Sud ha perso in questi anni di crisi. Il risultato del 2015, “ha solo in misura molto parziale ridotto il depauperamento delle risorse del Mezzogiorno e il suo potenziale produttivo causato dalla crisi”, dal 2007 il Pil nel Sud si è ridotto del -12,3%, quasi il doppio della flessione registrata nel Centro-Nord (-7,1%). Non sarà quindi – afferma Svimez – solo un anno positivo dopo sette di continue flessioni a disancorare il Mezzogiorno da questa spirale di bassa produttività, bassa crescita, e quindi minore benessere”.
Del resto la crescita del prodotto nelle regioni del Sud ha beneficiato nel 2015 di alcune condizioni peculiari: l’annata agraria particolarmente favorevole, la crescita del valore aggiunto nel turismo, “che ha beneficiato anche del crollo del turismo nella sponda Sud del Mediterraneo” per gli attentati terroristici, che ha prodotto una crescita dell’occupazione nei due settori: in agricoltura (+5,5%) e nel turismo (+8,6%). Ma per il Sud e la Sicilia ci sono altri due dati preoccupanti. Pur con la crescita di Pil e occupazione i consumi sono aumentati in misura molto minore e nel mondo del lavoro con la crisi del manifatturiero si è assistito al fenomeno della “crescita senza industria” e ad un “downgrading” una dequalificazione delle professioni. In pratica gli occupati fanno lavori a bassa specializzazione, di basso livello e ciò incide anche nel livello di retribuzione.
CISL. “I dati positivi sulla crescita economica del Mezzogiorno dopo tanti anni di crisi, sono senz’altro una buona notizia per il Sud e il Paese. Ma non c’è bisogno d’essere gufi per sapere che la strada del rilancio è ancora lunga e impegnativa”. A dirlo Giuseppe Farina, segretario confederale Cisl, commentando le anticipazioni della Svimez sul Rapporto 2016. A fargli eco Mimmo Milazzo, segretario della Cisl Sicilia, per il quale “la recessione sarà finita come dice Svimez ma a noi tocca, quotidianamente, fare i conti con famiglie che non smettono di stringere la cinghia e imprese che continuano a rinviare i piani d’investimento”. Per non dire, aggiunge, del gap infrastrutturale che frena l’Isola come un’ipoteca. Per Farina il Mezzogiorno per ripartire avrebbe bisogno di una “crescita doppia per almeno i prossimi cinque anni”. Ma Milazzo: “come potrebbe la Sicilia – si chiede – marciare a ritmi doppi se, stando alla stessa Svimez, fatto cento il dato infrastrutturale nazionale ha, per esempio, una rete ferroviaria elettrificata pari a 80 e alta velocità uguale a zero?”. Inoltre, c’è “l’impoverimento di intelligenze e forza lavoro spesso qualificata per la fuga dalla regione di ben 250 mila giovani ogni anno”, aggiunge il segretario. Così, se per Farina il futuro del Sud passa dal “rafforzamento delle filiere manifatturiere e della capacità attrattiva di investitori esteri”, per Milazzo la Sicilia deve fare i conti con la “ancora insufficiente qualità di spesa dei fondi Ue e, più in generale, col fallimento della politica e dell’azione di governo”. Tanto che, rimarca il numero uno della Cisl Sicilia, “ci vorrebbe una task force regionale per spendere le risorse disponibili e far partire i progetti esecutivi”. “La recessione si sarà pure fermata – commenta il segretario siciliano – ma da qui al recupero il passo non è affatto breve”.
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