Last updated on 28 gennaio 2023
Matteo Messina Denaro si presenta con il nome e cognome di un morto. E va in giro con una faccia nuova, impiantata da un chirurgo estetico di Messina, che però opera in Piemonte. E’ l’ultima novità su Matteo Messina Denaro, raccontata da un pentito di ‘ndrangheta. Come sempre, in tutti questi casi, non si tratta di una rivelazione diretta, ma della classica storia del tipo “ho avuto un compagno di cella che ha avuto un compagno di cella che gli ha detto…”.
E’ stato un pentito calabrese (la cui identità è segreta) già collaboratore dei pm di Reggio Calabria e Genova, a dare l’avvio all’indagine con le sue dichiarazioni a proposito di presunti favoreggiatori del capomafia Matteo Messina Denaro. L’uomo ha raccontato di aver condiviso dei periodi di detenzione con ‘Vincenzo Salpietro (anziano boss di Trabia) e Antonino Penna’ (un altro pregiudicato di origine calabrese, 32 anni). In quel periodo, proprio da queste persone ha appreso circostanze che riguardano la latitanza del capomafia trapanese.
Si tratta di notizie variegate che vanno dall’intervento chirurgico al volto eseguito in Piemonte o in Val D’Aosta da un medico di cui il collaboratore conosce l’identità, ai contatti che Salpietro, con il coinvolgimento della moglie, avrebbe intrattenuto con il padrino trapanese.
Altre curiosità: Matteo Messina Denaro se ne andava in giro con la carta di identità di un trapanese morto. Almeno fino al 2014.
Salpietro avrebbe detto alla gola profonda che sua moglie, Francesca Chiaramonte, era in contatto con una delle sorelle del padrino di Castelvetrano. E da lei avrebbe saputo che Messina Denaro si sarebbe sottoposto a un intervento di chirurgia plastica in Piemonte.
Ma ecco chi sono gli indagati: Vincenzo Salpietro, Francesca Chiaramonte, Antonino Penna, Vito Manzo, Francesco Leva, Francesco Murania, Nicola Alvaro, Domenico Antonio Mollica.
La vicenda è divenuta tale che sono entrati in ballo anche i magistrati di Palermo. E’ stato i il Gip Lorenzo Matassa a ritenere utile una udienza preliminare. Di conseguenza ha ordinato l’imputazione coatta per gli otto indagati, anche se il pm Maurizio Agnello pareva orientato ad archiviare il caso perché ritiene ci sia un vizio formale nell’ordinanza di imputazione coatta del giudice ed ha pronto un ricorso in Cassazione perché ‘sarebbe stato violato il diritto di difesa degli indagati.
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