“Lo vidi (Paolo Borsellino ndr) a fine giugno ’92, poco prima di andare in ferie. Mi disse: te ne stai andando in vacanza, ce l’hai una pistola? Io ero già sotto protezione. Gli chiesi: che ci devo fare con la pistola? Lui, con una gran risata, proprio qui fuori da questa porta, in corridoio, mi rispose: “Così almeno muori combattendo”. Il racconto è di Francesco Lo Voi, capo della procura Antimafia di Palermo in una intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica in cui ricorda, tra le altre cose, gli anni di lavoro con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: “Sono stato uditore di Giovanni Falcone, conoscevo Paolo Borsellino già prima di entrare in magistratura, per frequentazioni familiari. Poi, venni assegnato a Falcone dal consigliere istruttore Rocco Chinnici, che aveva una cura particolarissima di noi giovani leve”.
Quanto a Paolo Borsellino, “Fu una delle pochissime volte in cui lo vidi ridere, dopo la strage di Capaci che era avvenuta poche settimane prima. Borsellino, affrontato lo shock iniziale, era strenuamente impegnato a trovare qualsiasi traccia che potesse offrire uno spunto per capire chi avesse ucciso Falcone. Lo sentii per l’ultima volta il 29 giugno. Lo chiamai per fargli gli auguri, come sempre per San Pietro e Paolo, e fu una telefonata molto breve. Quel giorno lo trovai, contrariamente al solito, preoccupato, direi turbato. Mi ringraziò, ma il tono che percepii era grave. Capii che era molto impegnato in qualcosa che lo assorbiva, la testa era altrove. Non ci sentimmo più”.
Alla domanda se lo Stato abbia fatto abbastanza per proteggere il giudice ucciso in Via D’Amelio, Lo voi risponde: “I fatti dicono chiaramente di no. Lo Stato ha rafforzato in qualche modo la sua protezione. Ma certe “sviste”, come quella che lasciò priva di protezione via D’Amelio, notoriamente frequentata dal giudice per andare a trovare la madre, sono sinceramente a tutt’oggi incomprensibili”. E su possibili ruoli di soggetti esterni a Cosa nostra dice: “Sicuramente è stata mafia. E questo lo dicono anche le sentenze. Le stesse però non escludono che vi sia stato un possibile coinvolgimento esterno. Alcuni collaboratori di giustizia hanno riportato alcune affermazioni di Riina che lasciano pensare quanto meno a una conoscenza da parte di soggetti “altri”. Le indagini fatte dai colleghi di Caltanissetta in questi anni si sono mosse in più direzioni. Peraltro la mafia uccide raramente solo per vendetta. Spesso lo fa anche in via preventiva e forse non nel suo esclusivo interesse. Una cosa però su Borsellino la voglio aggiungere, in apparenza banale ma non per me: se fosse vivo, oggi sarebbe in pensione. Ma sono convinto che anche da pensionato avrebbe continuato a farci sentire il suo sostegno, mi e ci avrebbe dato ottimi consigli. Ci mancano”.
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