Rimangono tutti dietro le sbarre i 14 fermati dai carabinieri all’alba di mercoledì scorso nell’operazione antimafia “Visir”. Il gip del Tribunale di Marsala, Francesco Parrinello, ha infatti convalidato, ieri, tutti i fermi disposti d’urgenza dalla Dda di Palermo (urgenza dettata dal fatto che i contrasti interni alla cosca marsalese insorti sull’asse Strasatti-Petrosino stavano, pare, per sfociare in qualche omicidio), emettendo ordinanza di custodia cautelare in carcere. Un’ordinanza che dovrà essere riconfermata dal gip di Palermo. E’ davanti a questo magistrato, infatti, che si sposterà, a breve, il confronto tra accusa e difesa. Da un lato, i pm della Direzione distrettuale antimafia Carlo Marzella, Pierangelo Padova e Gianluca De Leo e dall’altro gli avvocati Luigi Pipitone, che assiste nove dei 14 arrestati, Stefano Pellegrino, Paolo Paladino, Daniela Ferrari, Salvatore Albigiani e Diego Tranchida.
L’avvocato Luigi Pipitone sta già predisponendo le istanze di riesame delle ordinanze di custodia cautelare per tutti i suoi assistiti, che verranno discusse davanti il Tribunale della Libertà di Palermo, “per evidenziare le contraddizioni riguardanti ogni singola posizione, anche al fine di consentire una valutazione dei fatti, oggetto della contestazione provvisoria, più rispondente alla realtà”.
Con l’operazione “Visir” sono finiti in carcere il nuovo presunto “reggente” della “famiglia” marsalese, Vito Vincenzo Rallo, 57 anni, pastore, residente in contrada Ciavolotto, già tre condanne definitive per mafia sulle spalle per una quindicina d’anni di carcere, fratello del 63enne boss mafioso e killer Antonino Rallo, arrestato dai carabinieri nell’ottobre 2007, dopo cinque anni di latitanza, in quanto condannato all’ergastolo per associazione mafiosa, omicidio, detenzione e porto illegale di armi, nonché Nicolò Sfraga, 51 anni, di Strasatti, luogotenente del capofamiglia, Calogero D’Antoni, di 35, anche lui di Strasatti, come pure Vincenzo e Alessandro D’Aguanno, padre e figlio, di 57 e 35 anni, Giuseppe Giovanni Gentile, detto “testa liscia”, di 43, di contrada Cuore di Gesù, l’imprenditore edile Michele Giacalone, di 47, abitante in contrada Madonna Cava Bufalata, Massimo Salvatore Giglio, di 41, residente a Marsala in corso Calatafimi, Simone Licari, di 58, di Strasatti, Ignazio Lombardo, detto “il capitano”, di 46, di contrada Cardilla, l’imprenditore Michele Lombardo, detto “Michelone”, di 55, di Petrosino, Aleandro Rallo, di 24, nipote del boss Vito Vincenzo, e i mazaresi Andrea Antonino Alagna, di 37, e Fabrizio Vinci, di 47.
Le accuse a vario titolo contestate sono associazione mafiosa, estorsioni e porto abusivo d’armi. Negli interrogatori di garanzia svolti nel carcere di Trapani quasi tutti si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. “E non poteva essere altrimenti – dice l’avvocato Pipitone – dato che, materialmente, non abbiamo avuto tempo e modo di studiare l’articolato provvedimento che ha portato al loro fermo”. L’unico a non fare scena muta è stato Vito Vincenzo Rallo, che davanti al gip Parrinello ha cercato di spiegare i motivi per cui conosceva alcuni degli altri arrestati (co-detenzione, lavoro, etc.). Consistenti, intanto, sono i precedenti penali di alcuni dei 14 indagati. Giacalone e Lombardo sono già stati condannati per concorso esterno in associazione mafiosa per avere favorito la latitanza di Antonino Rallo. Sia D’Antoni che Sfraga, inoltre, in gioventù, sono finiti in carcere per fatti di sangue. D’Antoni, in particolare, il 19 ottobre 2003 uccise, con un colpo di fucile, lo zio Giancarlo D’ Antoni, un pregiudicato di 30 anni fratello minore e “braccio destro” del padre del suo assassino, Andrea D’Antoni, dagli inquirenti ritenuto il capo di una pericolosa banda qualche anno prima dedita principalmente ai furti di mezzi pesanti e al traffico di droga. Una banda sgominata dalla polizia con le operazioni “Ermes I” ed “Ermes II”. Calogero D’Antoni, che si costituì ai carabinieri dopo alcuni giorni di latitanza, uccise lo zio dopo una furiosa lite esplosa per “questioni di donne”. Il giovane pastore, infatti, a quanto pare, aveva intrecciato una relazione sentimentale con la moglie dello zio, che aveva deciso di abbandonare il marito. L’8 luglio del 2004, il gup di Marsala Andrea Scarpa condannò l’autore dell’omicidio a 12 anni di reclusione. In carcere, comunque, il focoso giovane rimase meno di 12 anni e quando ritornò in libertà aveva ormai fatto il suo “cursus onorum”.
Con l’operazione “Visir” emerge, intanto, un fatto nuovo. E cioè una intensa relazione tra la famiglia mafiosa marsalese e gli esponenti dei mandamenti di Mazara, Alcamo, San Giuseppe Jato, Belmonte Mezzagno. Con una forte influenza della cosca marsalese. Forse non a caso, infatti, un’impresa di Marsala si è aggiudicata un appalto a San Giuseppe Jato. A far da contraltare, però, è l’insuccesso del tentativo di estorsione ai danni dell’imprenditore di Partinico che nel 2011 si aggiudicò, a Marsala, l’appalto per la risistemazione di piazza Marconi (zona Porticella). Nel frattempo, si pensava di conquistare qualche sub appalto nei lavori (9 milioni di euro) per un lotto della nuova rete fognaria. Le intercettazioni, inoltre, hanno consentito di fare chiarezza su ruoli, gerarchie, dialettiche e soprattutto controversie in seno alla famiglia mafiosa di Marsala e consentito di provare i diversi rapporti con i vari mandamenti e le altre famiglie provinciali. Sulle controversie interne, in particolare, quelle che hanno accelerato l’esecuzione del blitz dei carabinieri, gli investigatori hanno captato quella relativa alla guida della “decina” di Petrosino-Strasatti, affidata da Vito Vincenzo Rallo, capo della “famiglia” Marsala-Petrosino, a Nicolò Sfraga. Fatto, questo, che non è andato giù a Vincenzo D’Aguanno che, sostenuto dal figlio Alessandro, da Lombardo e Alagna, si contrapponeva al “sottogruppo” guidato da Sfraga sotto l’ala protettrice di Rallo e appoggiato da D’Antoni, Gentile e Licari.
Altra controversia ha riguardato la spartizione di lavori edili commissionati in contrada Paolini e che per risolvere la stessa Sfraga incontrò D’Aguanno per riferire gli ordini che avrebbe impartito Matteo Messina Denaro, piuttosto irritato, pare, per gli attriti interni alla cosca marsalese.