MESSINA – Non è solo terra quella che è stata smossa a Messina il 30 marzo scorso. È stata smossa una visione. Una possibilità. Con la semina inaugurale del primo Orto Urbano Sociale della città, Slow Food Messina APS ha piantato un seme non solo nella campagna, ma nel cuore di una comunità che sogna riscatto e rigenerazione.
In un’epoca in cui i territori urbani sembrano perdere contatto con le radici, l’iniziativa rappresenta una scelta controcorrente: trasformare terreni incolti in opportunità, ridare valore al lavoro della terra, connettere agricoltura, inclusione e formazione. E lo fa attraverso una rete di alleanze locali che unisce scuola, cultura, ristorazione e terzo settore.
Sei ettari di terra, tre spazi, una visione condivisa
I numeri parlano chiaro: sei ettari distribuiti tra i terreni dell’Istituto Agrario “Cuppari”, un fondo della Fondazione Horcynus Orca nella zona dello Sperone, e un’area all’interno di Forte Petrazza, concessa dalla Fondazione Me.S.S.In.A. Tre luoghi distinti, ma destinati a diventare un unico laboratorio sociale e produttivo, dove coltivare ortaggi, ma anche conoscenze, relazioni e visioni di futuro.
«Vogliamo creare un modello replicabile in altri quartieri e comuni», spiega Nino Mostaccio, presidente di Slow Food Messina.
«Un gruppo di persone, giovani e meno giovani, verrà formato tecnicamente e gestionalmente per costruire nuove competenze e avviare una cooperativa agricola autogestita».
Il percorso non si limita alla coltivazione. Include la formazione tecnica con i docenti del Cuppari, la trasmissione dei saperi contadini di Slow Food, e l’accompagnamento gestionale e commerciale curato dalla Fondazione Horcynus Orca. L’obiettivo è chiaro: creare lavoro dignitoso e sostenibile.
Dal campo al piatto: una filiera etica e a km zero
L’iniziativa si inserisce anche in un ecosistema alimentare etico, grazie al coinvolgimento di Casa e Putia, noto ristorante messinese impegnato nella valorizzazione delle filiera corta e della cucina siciliana di qualità. Il locale non solo sostiene l’orto, ma si impegna ad acquistare e utilizzare i prodotti coltivati, chiudendo il cerchio tra produzione, formazione e consumo consapevole.
Un gesto concreto, che dà valore alla terra ma anche alle persone, e che restituisce dignità a chi decide di restare e investire nel proprio territorio.
Rigenerare la terra, riscrivere la città
L’orto sociale di Messina è un progetto agricolo, sì, ma è soprattutto un atto politico e culturale. Parla di suolo da recuperare, di comunità da ricostruire, di biodiversità da difendere, di spazi urbani da rigenerare.
«Se funziona, potrebbe convincere le amministrazioni a censire i terreni incolti, trasformandoli in risorse per l’occupazione, la sostenibilità e la qualità urbana», aggiunge Mostaccio.
«Questo non è solo un orto. È un seme di futuro».
E allora, tra zappe, semi e mani nella terra, Messina prova a scrivere una nuova pagina: coltivare non solo cibo, ma possibilità. Se germoglierà, questo orto urbano sociale potrà diventare modello e ispirazione per tante altre città che hanno dimenticato cosa significa mettere radici. E farle fiorire.
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